EVANS. Andrea Morelli ci porta nel mondo di Cadel

| 26/09/2011 | 09:03
Un Tour vissuto tutto d’un fia­to, un Tour rivissuto piano piano, gustando una birra fresca in una calda sera d’e­sta­te. Un sorso per riassaporare il successo di Cadel Evans, uno per ripensare alla corsa di Ivan Basso ed un altro ancora per capire quanto e come si pos­sa migliorare con Damiano Cu­ne­go.
La birra di Andrea Morelli, metodologo dell’alleanamento del Centro Spor­tivo Mapei di Castellanza e tecnico dei tre campioni, è una rossa doppio mal­to, ricca e corposa, capace di lasciarti in bocca un gusto piacevole e deciso al tempo stesso. La birra di Andrea Mo­relli ha il sapore del successo ma insieme quello del progetto, delle idee, della voglia di arrivare ancora più in là, di fare ancora meglio. Proprio come ha sempre chiesto di fare, ai suoi collaboratori e ai corridori che seguiva, il professor Aldo Sassi che di questa intervista non è protagonista attivo, ma è sempre presente, come capirete leggendo sin dalle prime righe.
«Quello di Cadel - esordisce il professor Morelli - è stato il Tour perfetto. Ab­biamo iniziato a prepararlo sin da no­vembre, studiando il lavoro in ogni più piccolo particolare. E nel no­stro lavoro è stato importante avere l’ap­poggio completo da parte della sua squadra, la Bmc, che gli ha consentito di prepararsi senza avere a che fare con l’obbligo del risulato. Questo ha permesso a Cadel di arrivare a risultati im­portanti come le vittorie nella Tirreno-Adriatico e nel Giro di Romandia, ol­treché ottenere il secondo posto nel Delfinato. Nella Bmc Evans ha trovato un ambiente familiare che per lui è stato fondamentale e quando ha avuto la sicurezza di poter contare su una squadra veramente forte, si è tranquillizzato e rasserenato. Durante il Tour ci siamo mantenuti in contatto tutti i giorni sfruttando le moderne tecnologie ma non l’ho mai sentito nervoso o agitato. E questa è stata la sua forza».
Difficile allenare Cadel?
«Difficile allenare chiunque abbia un solo grande obiettivo stagionale, perché sbagliando leggermente i tempi c’è il rischio di arrivare stanchi nel mo­mento clou della gara cui si punta. Ma ci sono pochi atleti al mondo come Ca­del che sanno seguire la programmazione studiata, anche perché Evans quando fa una scelta l’ha studiata fino in fondo, ne ha capito metodi e motivi. Il suo metodo di lavoro è figlio di quanto ha appreso da giovane alla AIS, l’Istituto Australiano dello Sport: a quella scuola insegnano ai ragazzi a co­noscere il loro corpo e danno loro tutte le informazioni su come allenarlo al meglio, anche dal punto di vista delle tecnologie che un atleta ha a sua disposizione. Un metodo di lavoro che stimola la curiosità e il desiderio di mi­gliorarsi continuamente. Fino a qualche anno fa andavano per la maggiore gli spagnoli con i loro allenamenti a sensazione, adesso le cose sono cambiate».
Quanto è importante per un allenatore mi­surarsi con un atleta come Evans?
«Direi fondamentale. Io penso all’allenatore come ad un cuoco che deve es­sere bravo nel dosare tutti gli ingredienti nel modo giusto per ottenere un grande piatto. Se l’atleta è bravo a co­municarti le sue sensazioni e il suo pensiero, diventa più facile mettere a punto la ricetta. Tra Evans e me si è creato un feeling che dura ormai da anni e che dà grandi risultati. Que­st’anno siamo riusciti a vincere subito alla Tirreno, abbiamo replicato anche al Romandia ed è stato importante an­che il secondo posto al Delfinato, giunto dopo un carico di lavoro svolto a Sierra Nevada. Ma direi che è stata fondamentale, per la vittoria nel Tour, la scelta oeprata con la squadra di iniziare più tardi e di arrivare alla Grande Boucle senza avere troppi giorni di ga­ra nelle gambe».
Per la seconda volta ha citato la BMC e l’appoggio che ha dato a Evans.
«Perché per Cadel è stato fondamentale. La Bmc ha appoggiato tutte le sue scelte sin dal primo giorno, gli ha co­struito attorno una squadra molto competitiva, gli ha messo a disposizione una nuova bicicletta da cronometro con la quale Evans si è allenato in pista e in galleria del vento. E tutta la squadra ha preparato all’autodromo di Zol­der la cronosquadre, consolidando il lavoro del team. Ogni atleta è arrivato al Tour al massimo della condizione e motivato come non mai: in altre squadre non è sempre facile ottenere lo stesso risultato. Questa compattezza, questa unità di intenti che partiva da pa­tron Rhys e dal team manager Ocho­witz e che comprendeva tutti i membri dello staff, è stata importantissima perché ha dato a Evans una sicurezza straordinaria dal punto di vista psicologico».
La birra rinfresca l’anima ed è il momento di cercare di scoprire gli altri segreti di Evans.
«Sempre a proposito di sicurezza, uno dei momenti chiave della corsa, per Cadel, è stato riuscire a battere Conta­dor a Mur de Bretagne. Ho riguardato i dati della corsa, quel giorno non sono andati affatto piano ed Evans ha vinto una grande volata in salita, cosa che gli ha dato ulteriore convinzione. Poi, nella gestione della corsa, c’entra anche la fortuna, che non è programmabile. Cadel avrebbe voluto vincere la cronosquadre e conquistare la maglia gialla, è arrivato ad un solo secondo dal primato, poi è spuntato Voeckler e Cadel ha potuto risparmiare almeno in parte la squadra, che comunque è sempre stata perfetta nello scortarlo per tutto il Tour nelle prime posizioni. A rimetterci sono stato solo io, che sono rimasto senza leoncino: uno ce l’ha Cadel a casa, l’altro era già stato promesso a Burghardt... Dal punto di vista psicologico, poi, hanno avuto grande importanza anche Chiara, sua moglie, a la loro cagnolina Molly: la loro presenza ad alcune tappe della corsa, ha permesso a Cadel di sentirsi come a casa e di rilassarsi ulteriormente»
Nuovo sorso di birra, nuovo atleta: com’è stato il Tour di Damiano Cunego?
«Se il suo risultato è stato inaspettato per il pubblico, non lo è stato per me. Io ho cominciato a lavorare con Da­mia­no a novembre, trovando un atleta che si portava dietro l’ormai annosa domanda “puntare alle classiche o alle corse a tappe”? Io però sono partito dal presupposto che Damiano abbia ca­ratteristiche simili a quelle di Cadel e quindi possa puntare a qualsiasi risultato. Guardando il suo Tour, balza all’occhio il suo risultato negativo nella tappa a cronometro, ma ritengo impensabile che non possa migliorare in questa specialità. Ha dimostrato di essere forte in discesa, ha tenuto le ruote dei migliori in salita, può sicuramente crescere».
Come ha impostato il lavoro con lui?
«Piccola premessa: con la Lampre ab­biamo impostato un lavoro tutto nuovo ed io del gruppo seguo solo Damiano Cunego. Per vari motivi, Damiano ed io ci siamo trovati a confrontarci con grande frequenza sulle sue sensazioni, su quello che lui provava in gara e in allenamento, questo ci ha permesso di avere presto in un buon feeling. A me piace lavorare con tanti dati scientifici, con Cunego per ora ho dovuto fare un passo indietro, ma non è stato poi tutto inutile...: quando un atleta riesce a trasmettere le sue sensazioni, getta le basi per un nuovo rapporto di confidenza ed è quello che è successo con Damiano. Un rapporto franco che ha dato subito buoni risultati».
Come sono stati gli inizi?
«Avevamo bisogno di conoscerci e di “trovarci”: per fortuna, come ho anticipato, il lavoro ha dato subito dei segnali che ci hanno confermato la bontà delle scelte. Io l’ho visto dai dati, lui dalle sue salite di riferimento e dai primi risultati: questo ha dato fiducia a Damiano».
Altro sorso: parliamo di Ivan Basso.
«Al Tour, rispetto agli altri top rider, ha mostrato due punti negativi: la discesa e la cronometro. Ma qui occorre una premessa: io seguo Ivan solo per quanto riguarda gli allenamenti, mentre per la programmazione, le scelte tecniche e tutto il resto decide lo staff della Li­qui­­gas Cannondale. Senza voler entrare in polemiche, secondo me Ivan ha iniziato a correre troppo presto e poi ha avu­to la sfortuna di incappare in un incidente in allenamento sul­l’Etna che ha influito sulle sue prestazioni. Tenete presente che quest’anno Ivan ha svolto uno dei migliori test della sua carriera ed io sono convinto che se fosse arrivato un po’ più fresco al Tour avrebbe potuto ottenere un risultato migliore. Quanto ai suoi punti deboli, già il professor Sassi insisteva sul lavoro nella cronometro, mentre per quanto riguarda la discesa credo che buona parte dei problemi sia di carattere psicologico. È difficile, ma anche in questo si può migliorare».
Si può quantificare quanto ha inciso l’incidente dell’Etna?
«Sicuramente ha condizionato una sessione di lavoro importante, ma ha in­crinato anche le certezze di Ivan, che ha grande capacità di concentrazione ma che ha perso alcuni paletti per lui fondamentali. Anche il risultato negativo nella cronosquadre, per il quale Ivan si è preso anche colpe non sue, da grande capitano qual è, ha incrinato le sue convinzioni».
Qual è il vostro rapporto?
«Ottimo, anche perché Ivan ha capito il mio impegno nel dare continuità al lavoro che aveva svolto Aldo Sassi: ho lavorato con il professore per quindici anni, è stato prima il mio capo, poi il mio maestro ed infine un grandisimo amico. Ivan ha capito tutto questo ed il nostro rapporto è fruttuoso».
Ancora un sorso per capire: chi può mi­gliorare di più fra io tre?
«Cadel non ha limiti, può vincere tutto. Ora sarà importante capire quali saranno le scelte della BMC per la prossima stagione, ma è chiaro che la riconferma al Tour sarà al centro del suo programma. Quanto a Basso, sono convinto che possa vincere il Tour de France, lo ribadisco una volta di più. Damiano ha grandi margini di miglioramento: i dati che abbiamo, ci dimostrano che può guadagnare a cronometro lavorando sulla posizione, ci vuole del tempo ma si possono ottenere risultati importanti.
E Andrea Morelli?
«Finisce la sua birra e torna subito al lavoro. Con i tre campioni, con Mi­chael Rogers e con Michael Frei, lo svizzero che sto seguendo un programma di rientro pulito alle corse dopo essere caduto nella rete del doping. Spe­ro che riesca a trovare una squadra perché è un ragazzo d’oro e doti ciclistiche davvero notevoli».

di Paolo Broggi, da tuttoBICI di settembre
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COMMENTI
Pillore di sapere, ma a chi interessano?
26 settembre 2011 18:47 Bartoli64
Pochi concetti, peraltro espressi in maniera semplice ma grande conoscenza della materia, una conoscenza che deriva da lunghissimi anni di studi e ricerche, sconfitte e successi, grandi gioie e grandi dolori.

Ho visto per la prima volta Andrea Morelli quando ancora era un giovane delfino dell’immenso Professor Aldo Sassi e, già allora, era possibile intuire quale fosse la sua ammirazione per il suo Maestro nonché la sua passione per questa difficile professione di metodologo.

Bello anche l’articolo di Paolo Broggi che, con stile elegante, ha voluto raccontarci – direttamente dall’interno - come può nascere un successo grandioso come quello conseguito da Evans al Tour diquest’anno.

Mi spiace solo che nessuno (almeno sino ad ora) abbia voluto spendere due parole, sia per il lavoro di Andrea Morelli, sia per il racconto di Paolo Broggi.

Probabilmente la lunghezza dell’articolo (assolutamente necessaria in questo caso) deve aver scoraggiato più di qualche lettore, e questo nonostante si parlasse di quello che, a ragion veduta, è considerato il migliore ciclista del pianeta.

La concomitanza con l’evento-Mondiale, inoltre, deve aver evidentemente dirottato i post dei lettori verso sterili polemiche legate alle capacità tecniche di Bettini, o a quelle atletiche di Bennati.

Fatto sta che apprendere conoscenze da persone qualificate - come Andrea Morelli - poco importa a molti che in questo stesso blog che si definiscono appassionati veri di ciclismo.

Appassionati? Forse…. ma con un cervello corto così ed una lingua infinitamente più lunga, sempre molto pronta a “cialtronare” sui successi degli altri invece di interrogarsi sui propri insuccessi e sulle proprie incapacità morali ed intellettuali.

Bartoli64

sempliciotti ed intellettuali
26 settembre 2011 23:42 tralepieghe
caro bartoli,

la poesia del ciclismo non nasce dalla scienza ma è leggenda tramandata dai sempliciotti, o meglio dai veri appassionati di ciclismo.
ti ricorderai di sicuro quando anni addietro andavano forte solo nel giorno stabilito cioè quando avevano i bioritmi giusti, una pratica che ha messo in difficoltà più di un'intellettuale, che ha cancellato ed inquisito nomi importanti, mentre i sempliciotti sono ancora qua ad applaudire un ciclismo che per continuare ha bisogno ancora di più poesia e di meno numeri.

Sapere di non sapere
27 settembre 2011 15:04 Bartoli64
Caro Tralepieghe,
ovviamente non sono affatto d’accordo con quanto dici, anche se è assolutamente vero che la forza del ciclismo nasce proprio dalla sua tradizione.

Il sottoscritto non è certamente un fan del “nuovo”, del “tecnologico”, e né tantomeno può essere considerato un “intellettuale”.

Tuttavia il mondo va avanti, con il suo stesso sviluppo tecnologico che porta cose buone, altre meno buone, altre del tutto inutili o, addirittura, dannose.

Considerato ciò, sta dunque all’intelligenza umana capire dove il progresso ti porta, indirizzarlo ed utilizzarlo nel modo giusto e far in modo che l’innovazione non sia fine a se stessa, che non sia un orpello da ostentare.

Il ciclismo - diciamocelo chiaro – è stato per lungo tempo in mano a praticoni di tutta esperienza ma di poca cultura.

Per carità, persone anche in gamba ma che, inevitabilmente, sono state scavalcate dal tempo ed è anche colpa loro se il doping è riuscito a dilagare in questo sport.

Certo, se l’innovazione si tende solo ad associarla all’ingresso agli stregoni del doping, sono il primo a rimpiangere i bei tempi andati (dove comunque esisteva un altro doping), ma non voler riconoscere quanto di buono hanno apportato a questo sport persone come i Prof.ri Sassi e Zenoni (tanto per citare qualche nome) mi sembra veramente meschino.

Se oggi siamo ad ammirare nazioni come la Francia che, dagli anni bui del doping e delle “garde a vue”, ha saputo ricostruire una scuola giovanile che grandeggia nel mondo è solo perché i francesi (oltre a fare gli investimenti giusti) hanno “studiato” e creato metodologie nuove finalizzate a tirar fuori il meglio dei loro atleti e non è utopistico immaginare che, nel giro di poche stagioni, sapranno riproporre sulle scene un nuovo Hinault.

Se vorrai approfondire, ti segnalo questo interessante articolo che ti aprirà un po’ gli occhi su un modo di interpretare la preparazione sportiva che, probabilmente, non pensavi nemmeno potesse esistere: http://www.sportpro.it/#813

Cordialmente.

Bartoli64

P.S. i “bioritmi” hanno messo in difficoltà più di qualche intellettuale? Guarda che non è esattamente così perché esistono casi eclatanti di atleti che, pur avendo un bioritmo basso in comomitanza di una certa gara, hanno invece conquistato vittorie incredibili.

Sai che non c’è “scienza” dietro il calcolo bioritmico? Se non ci credi, fatti una ricerchina su internet!

“So di non sapere” (Socrate)

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