Manuela Ronchi replica alla Voce di Romagna: «Adesso parlo io»

| 05/09/2005 | 00:00
Per gentile concessione de «La Voce di Romagna», pubblichiamo l'intervista rilasciata da Manuela Ronchi sabato scorso (3 settembre), in seguito alle polemiche suscitate dalla trasmissione di Irene Pivetti «Giallo 1», dedicata al campione romagnolo. In molti se lo sono chiesti: ma che ci fa Manuela Ronchi in quello studio televisivo? Impassibile al fianco della Korovina, muta di fronte allo scempio del cadavere di Marco immolato sull'altare della morbosità catodica, incapace d'indignarsi di fronte ai Torquemada della psicanalisi, (stra)pagati per infiocchettare le loro teorie da Baci Perugina. C'è chi non ha capito davvero la presenza dell'ex manager nella trasmissione di Irene Pivetti e chi, invece, come Michel Mengozzi (l'ultimo amico di Pantani), l'ha definita, senza giri di parole, una "presenzialista incallita". Una definizione giunta all'orecchio di Manuela Ronchi, che ovviamente ha voluto replicare per le rime, cogliendo anche l'occasione per chiarire una "lunga sequela di equivoci". Signora Ronchi, Michel Mengozzi l'ha definita una presenzialista... «Sono parole fuori luogo che mi fanno tanta rabbia, anche perchè a pronunciarle è una persona che continua a spacciarsi come "l'ultimo amico di Pantani". Lui, al contrario, era solo la persona che, con la scusa di tenersi in casa Marco, lo ha rovinato per bene». Che intende dire? «Michel è nel giro delle discoteche, conosceva bene certi ambienti. Non a caso, la prostituta russa indagata per droga, che non era affatto la sua ultima fidanzata, gliela aveva presentata lui». Sono parole pesanti... «E' solo la verità. Il signor Michel si è forse dimenticato di quando sono andata a riprendere Marco a casa sua? Era talmente fatto che non si reggeva in piedi. Da quel momento non si è più ripreso. Comunque io sono onorata di stare sulle scatole ad un personaggio come lui. Non ho niente a che spartire con quella persona». Veniamo alla trasmissione incriminata: a mente fredda, che ne pensa? «E' stata uno schifo. Sono veramente infuriata con la signora Pivetti perchè la trasmissione doveva avere tutta un'altra impostazione. Ad esempio, hanno tagliato completamente il mio intervento. Io, fra l'altro, non ero in studio, l'intervista era stata registrata in precedenza e dunque non potevo reggere alcun contraddittorio». Gli autori dunque non hanno rispettato gli accordi? «Prima della trasmissione ero stata molto chiara: io volevo che si indagasse su altre cose e poi non mi sembrava il programma più adatto per parlare di doping». Sapeva della presenza in studio della Korovina? «L'hanno invitata solo per fare audience. All'origine era stata chiamata mamma Tonina, ma all'ultimo momento ha dovuto rinunciarvi per problemi di salute e allora la signora Pivetti, non potendo avere in studio le lacrime della mamma, ha optato per la faccia di quella (bip)». Vogliamo parlare delle immagini? «C'è poco da dire. Sono un insulto alla memoria di Marco ed una mancanza totale di rispetto nei confronti della famiglia». Signora Ronchi, ma perchè così spesso lei viene attaccata ed indicata come presenzialista? «Primo, perchè sono una donna, in secondo luogo vorrei che si dicesse che i personaggi che mi attaccano sono sempre i "finti buoni", quelli che quando c'è da tirare fuori gli attributi per difendere Marco, si nascondono. Io la mia di faccia ce l'ho sempre messa, perchè sono convinta, per un atto di giustizia, che la memoria di Marco debba essere sempre difesa e preservata da certi sciacalli. Marco, in vita, me lo aveva chiesto in tutti i modi ed io ho giurato a me stessa che avrei mantenuto quell'impegno. Il mio non è presenzialismo, è solo voglia di giustizia per questo ragazzo che non ha mai fatto male a nessuno, se non a se stesso». Che cosa ha insegnato, secondo lei, la tragica esperienza di Marco? «Se uno come lui, che scalava le montagne, non è riuscito ad uscire con le sue gambe dal tunnel della cocaina, significa che quella non è una droga da fighi, come tanti s'illudono, ma un mostro che ti mangia la vita». Signora Ronchi, ma lei per Pantani è stata la manager, la confidente o qualcosa di più? «Io sono sempre stata una vera amica di Marco. Certo, sono stata anche la sua manager, ma quando ho capito che lui aveva bisogno di una persona vicina che gli dimostrasse tutto il suo affetto, in quell‚istante ho smesso di prendere soldi da lui. Non volevo, in nessun modo, che pensasse che gli stessi vicino solo per interesse. Pensi che, quando stava male ed era fatto, io gli ho anche messo in braccio mio figlio di quattro mesi per dimostrargli che non temevo la sua condizione. Volevo spronarlo ad uscire da quella situazione, ma purtroppo non ci sono riuscita». Come continuerà a difendere l'immagine postuma di Pantani? «C'è una bellissima notizia per la famiglia: il mio libro, infatti, diventerà anche una fiction, così finalmente avremo la possibilità di mostrare al mondo, senza filtri né strumentalizzazioni, la nostra versione dei fatti».
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