TUTTOSPORT. Berruti: «W il Giro, W Coppi, ma Pantani no»
| 05/05/2011 | 09:08
Livio Berrutti è lo sport, è l’Olimpiade, è la parte bella dell’Italia da esportare nel mondo, è il campione colto, è il sano protagonista del gossip ante litteram (che bello l’innamoramento con Wilma Rudolph!) e nel caso in questione è anche torinese doc: un referendum di qualche anno fa lo vide sul podio dei più grandi sportivi italiani di sempre dietro il corridore Fausto Coppi e il calciatore Giuseppe Meazza.
Livio Berruti studiò al Liceo Classico Cavour di piazza Bernini, poi si
laureò in chimica, strabiliando il mondo per quei 200 metri volati alle
Olimpiadi di Roma 1960, lui bianco e occhialuto più leggero e armonioso
delle gazzelle nere d’America. Sabato Berruti sarà uno dei tanti torinesi
pronti ad accogliere nel migliore dei modi il Giro d’Italia che festeggia
i 150 dell’Unità del nostro Paese, partendo dalla Reggia sabauda di
Venaria per arrivare nella centralissima Piazza Vittorio Veneto.
Dottor Berruti, che cos’è per lei il ciclismo?
«Un romanzo che racchiude in sé molti valori. E voi giornalisti siete
stati sempre molto bravi a raccontare le epiche gesta degli eroi del
Dopoguerra. Era emozionante leggere le cronache, fantasticando con la
mente».
Lei per chi faceva il tifo?
«Lo confesso, ero un coppiano. Fausto mi conquistava per la sua armonia e
per la malinconia delle sue imprese. Ma anche Bartali era fantastico, un
vero uomo di ferro, come d’altronde era soprannominato. E che dire di
Magni? Le sue discese erano da brivido».
Insomma, per lei il ciclismo era soprattutto un sogno...
«Sì, un vero sogno. Lo sport della bici è da sempre un argomento
importante di lettura sportiva. Non per niente fior di letterati si sono
cimentati al seguito del Giro».
Qual è la peculiarità del ciclismo?
«L’assoluta unicità nel rispetto delle diversità di ognuno».
Peccato per il doping...
«Mi dà fastidio, lo confesso. E non tollero che siano stati esaltati
campioni che non meritavano un’eco assoluta».
Ci può fare un esempio, per cortesia?
«Pantani è stato un eroe negativo, perché interpretò male i valori del
ciclismo. E mi dispiace che anche il Piemonte gli abbia dedicato un
monumento», quello in vetta al Colle della Fauniera.
Ma in fin dei conti non è mai stato trovato positivo...
«E’ vero, ma certe sue performance sono state eccessive. Mi ricordo quando vinse a Oropa dopo aver avuto un incidente meccanico. Seppe recuperare tutto il gruppo a velocità doppia, staccando ogni avversario nonostante quel grave contrattempo. Secondo me era impossibile andare così forte senza un aiuto».
Non teme di essere un po’ troppo duro con il Pirata?
«No, perché oltretutto non sopportavo la sua tendenza a criticare gli
altri. Troppo presupponente, anche se ovviamente mi dispiace che abbia
fatto quella brutta fine, ma questo è un altro discorso».
E di Ivan Basso pentito e redento che cosa ci dice?
«Molto meglio lui di Pantani, su questo non ho dubbi. Errare humanum est,
ma se non altro il varesino ha avuto il coraggio di confessare, quindi di
ricominciare in un modo del tutto diverso».
Berruti, perché lei ha scelto la corsa e non la bicicletta?
«Quando ero piccolo, ero assai svelto a pedalare nei cimiteri con i
compagni di giochi. Ma poi incominciai a correre e mi accorsi che
nell’affrontare le curve ad alta velocità guadagnavo terreno rispetto agli
avversari. Quella fu una vera rivelazione, perché da allora diventò
erotico vincere la forza centrifuga: in curva andavo forte come lungo le
diritture: che godimento!».
E in bici nessun erotismo?
«Meno, molto meno».
Qual è la grossa differenza mediatica tra il ciclismo italiano di oggi e
quello di ieri?
«La mancanza di un personaggio di valore assoluto, uno che sappia far
parlare di sé anche quando scende dalla bicicletta. Uno all’Alberto Tomba,
uno showman-personaggio esplosivo e che sia al di sopra di qualsiasi
sospetto».
L’ultimo grande corridore torinese in questo senso?
«Beh, senza dubbio il mio amico Nino Defilippis, un corridore di classe
vera ma anche un personaggio pieno di iniziativa e di spessore umano».
Seguirà il Giro d’Italia che sta per incominciare?
«Senza dubbio. E mi piacerebbe anche presenziare alla prima tappa che
percorre le strade della mia città».
Perché? Nessuno l’ha invitata?
«No, nessuno, ma lo dico senza polemiche. Lei sa che a me non piace
impormi all’attenzione altrui. E’ che il ciclismo mi è rimasto nel cuore
da quando Coppi e Bartali e Magni....»
da «Tuttosport» del 5 maggio 2011 a firma Paolo Viberti
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