Valentina Scandolara, una ragazza che non le manda a dire

| 05/12/2010 | 13:45
La grande Edita Pucinskaite, in occasione della sua festa di addio al professionismo, ha fatto un nome per il ciclismo femminile di domani: Valentina Scandolara. Sulla carta e sul campo la ventenne veronese, sta dimostrando di avere testa e gambe per non deludere le aspettative della campionessa lituana.
«È un onore e allo stesso tempo un onere per me sapere che un mito come lei scommetterebbe su di me».

A Edita e a chiunque punta su di lei fa una promessa?
«Non so dove posso arrivare, ma proverò ad arrivare il più in là possibile».

Se dovessi presentarti usando poche parole quali parole ti piacerebbe ascoltare?
«Che sono una ragazza semplice, con la testa sulle spalle, testarda e a volte ingenua. Ho iniziato a correre a otto anni, mentre praticavo già calcio e corsa campestre. All’epoca ero una vera peste, così mia mamma cercava di farmi sfogare nello sport. Nelle categorie minori ho vinto qualcosa (per “qualcosa” intende due titoli europei, quattro medaglie conseguite a meeting continentali ed europei, undici titoli italiani: sei su pista, quattro su strada e uno nelle ciclocampestri, ndr), ma ora che sono appena passata tra le Elite è tutta un’altra storia».
 
Il 2010 è stato il tuo primo anno nella categoria maggiore, com’è andata?
«È stata dura. Oltre a dovermi confrontare con atlete più esperte e mature, ho avuto anche un po’ di problemi che non mi hanno permesso di esprimermi al meglio. È stata la stagione più difficile che ho avuto da quando corro. Non ho raggiunto nessuno degli obiettivi che mi ero prefissata e per i quali ho lavorato molto seriamente col mio preparatore Roberto Rossi. Ho staccato per un breve periodo, più per delusione che per andare in vacanza; questa “pausa di riflessione” mi è servita per ritrovare la voglia di pedalare e gli stimoli per far bene nella prossima stagione».

In vista del 2011 hai deciso di voltar pagina...
«Ho lasciato il Vaiano per cercare una nuova realtà. Con mia grande gioia Luisiana Pegoraro ha deciso di darmi fiducia e di "arruolarmi" nelle file della sua Gauss RDZ Ormu».
 
Come ti stai preparando?
«Per ora mi alleno in palestra e faccio agilità in bici. Prima di iniziare a intraprendere lavori più specifici sto curando il ginocchio che mi ha compromesso metà della stagione scorsa».
 
Quali i tuoi obiettivi?
«Imperativo numero uno è crescere, poi qualsiasi risultato arriverà sarà ben accetto. Alcuni obiettivi specifici li ho in testa, ma per scaramanzia li tengo per me».

Guardando più in là, come ti immagini tra qualche anno?
«Mi sono data una scadenza: se nei prossimi anni non avrò ottenuto gli obiettivi minimi che mi sono prefissata nel ciclismo, continuerò a studiare “Economia e Commercio” a Verona e appenderò la bici al chiodo. Mi resterà la passione, ma purtroppo di ciclismo femminile non si vive. Comunque andrà sono convinta che studiare sia importantissimo per chiunque, per una donna ciclista ancora di più».

Perché “di ciclismo femminile non si vive”?
«Perché non ha alcuna visibilità sui media e sembra essere di scarsissimo interesse per gli sponsor. È una cosa vergognosa perché il ciclismo rosa ha davvero tanto da offrire. Sono numerose le atlete di altissimo livello, soprattutto in Italia. La nostra Nazionale solo negli ultimi quattro anni ha vinto ben tre Campionati del Mondo, ma la gente non sa nemmeno che esista un Giro d'Italia o un Tour de France femminile».

È la dura realtà…
«Si, ma non me ne capacito. È assurdo che faccia più notizia la ragazza di un ciclista (con tutto il rispetto per la categoria), che una professionista. Nelle pubblicità si vedono tanti sportivi, campioni italiani o adottati della nazionale azzurra, perché non c’è mai una ciclista? Anche solo pescando a caso dal meraviglioso “dream team” australiano di quest'anno si avrebbe l’imbarazzo della scelta».

Un’altra cosa che ti fa arrabbiare di questo ciclismo?
«Il doping. È un problema grave dello sport in genere, che per quanto riguarda il “mio” sport mi piacerebbe potesse sparire con un colpo di bacchetta magica. Purtroppo questo non è possibile, ma vorrei davvero che chi ha potere di cambiare le cose, intraprendesse una lotta seria e spietata al doping, a chi ne fa uso e a chi aiuta gli atleti (io non li chiamerei nemmeno così) a farne uso».

Non hai peli sulla lingua…
«Già, a volte non so proprio tenere la bocca chiusa. Io apprezzo le persone come me, che dicono ciò che pensano senza falsità e sotterfugi, ma il mondo, o almeno buona parte di esso, non ama la sincerità. La mia schiettezza mi ha creato non pochi problemi, ma su questi argomenti, comunque andrà, continuerò a essere decisa».

Giulia De Maio

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