Clemente Russo, un campione con il ciclismo nel cuore

| 03/01/2010 | 12:32
Nell’infanzia di Clemente Russo, c’è stato anche il ciclismo. L’avventura sportiva del pugile campano è incominciata proprio con lo sport delle due ruote. Una parentesi di qualche anno, prima di dedicarsi completamente alla boxe.
«Ero piccolissimo – ricorda la medaglia d’argento olimpica dei pesi massimi -. Ho corso in bici, dai sei ai nove anni di età». Poi, anticipando il racconto con una fragorosa risata, spiega che «a causa delle scarse qualità del mio allenatore, sono stato costretto ad abbandonare». Ancora una risata e poi la confessione: «L’allenatore in questione, trattasi di mio papà. È qui vicino a me e mi diverto a prenderlo in giro». In effetti, davanti al possente fisico del pugile, si fa fatica a immaginarlo come un bambino longilineo, sulla bici da corsa. «Ero un po’ cicciotello e dovevo andare in qualche palestra per dimagrire – conferma Clemente -. Qui a  Marcianise però, dire palestra equivale a dire boxe. Due sport per certi versi simili, il ciclismo e il pugilato. Due discipline dove la fatica ti vuol vedere in faccia. Non ebbi problemi ad apprezzare e ad amare subito questo sport». Il ciclismo però, è rimasto nel sangue al pugile casertano. Scarso praticante, ma assiduo appassionato degli appuntamenti più importanti del calendario. «Mi devo allenare tre volte al giorno. La boxe mi lascia pochissimo tempo. Qualche volta faccio qualche sgambata con la mountain bike, ma devo sinceramente affermare che alle due ruote, preferisco le quattro ruote: quelle motorizzate. Cerco comunque di non farmi scappare i grandi appuntamenti: Giro e Tour su tutti».
La palese generosità che esterna la sua boxe, trova riscontro anche nelle sue simpatie ciclistiche. «Non amo i corridori attendisti; quelli che stanno alla ruota finalizzando tutto al risultato. Ricordo che mi faceva impazzire Franco Chioccioli che attaccava in maglia rosa. Ricordo anche Chiappucci, uno tra i più decisi nello sferrare gli attacchi a Indurain. Anche oggi, corridori come Ivan Basso e Riccardo Riccò, li preferisco ad un pur grande campione, qual è Alberto Contador».
Qualche sottolineatura riguardo al corridore di Formigine, un atleta che lo aveva entusiasmato sulle strade del Giro, prima di quei tristi eventi che lo videro protagonista sulle strade del Tour. «Pur non arrivando a Milano in maglia rosa, Riccò era stato un grande protagonista sia nel Giro 2007 che nel 2008, dove era riuscito ad aggiudicarsi anche delle belle tappe. Uno splendido fantasista, uno che sapeva osare. Al Tour poi, ha sbagliato e adesso sta pagando. So però che ormai è prossimo al rientro e che si sta preparando molto tenacemente».
Inevitabile a questo punto, scivolare sull’argomento boxe, anche a seguito di certe voci che vedono imminente un suo debutto nel mondo del professionismo. Voci che Clemente – ventotto anni il prossimo 27 luglio, non smentisce: «Sto valutando delle offerte. Vedremo». Uno sport, il pugilato, che nel corso degli anni è sembrato – perlomeno nell’ambiente professionistico – sempre meno “noble art” e sempre più potenza pura. Una trasformazione che gli ha tolto un po’ del suo fascino. Verrebbe spontaneo il confronto con il ciclismo, specificatamente con la velocità pura su pista. Le sempre più abbondanti muscolature degli sprinter, hanno avuto il sopravvento sulla poesia e il fascino del “surplace”. L’esaltazione della potenza ha messo sempre più in secondo piano, l’importanza della tattica.
Un ragionamento un po’ elaborato ma che, almeno nella sintesi, trova conforto anche in quelle che sono le convinzioni del vice campione olimpico, per quanto concerne la boxe. «È proprio questa l’unica ragione per la quale non sono ancora passato professionista. Oggi nel professionismo, si vede ben poco pugilato. Al contrario nel dilettantismo, i match sono un mix di potenza, tattica, tecnica, tenacia e molto altro ancora. Un grande spettacolo, per palati fini».

Roberto Sardelli - velobike.it
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