
Quando vinse la Vuelta nel 1964, Raymond Poulidor poteva contare anche su un gregario italiano. Si chiamava (si chiama, è vivo) Gianni Marcarini. Però il suo dorsale numero 25 si vide poco: il quinto giorno Marcarini finì fuori tempo massimo. Comunque una piccola, piccolissima parte di quel primo posto di un eterno secondo spetta anche a lui.
Del 1940, bergamasco di Treviolo, parente alla lontana di Italo Zilioli, Marcarini emigrò in Francia e là cominciò la sua avventura a pedali. Professionista dal 1961 al 1970. Gregario. Subito per Jacques Anquetil, poi per Federico Martin detto Bahamontes e Poulidor. Pochissime vittorie: una tappa al Tour du Morbihan, in Francia, nel 1964, un’altra in quello del 1967, e la Bretagne Classic Ouest-France, nel 1970, quando non si chiamava ancora GP di Plouay. Non doveva brillare per la resistenza, Marcarini, se quella Vuelta del 1964 rimase l’unico grande giro della sua carriera. Ma figura negli ordini d’arrivo di Parigi-Nizza e Quattro giorni di Dunkerque, Delfinato e Milano-Sanremo, Het Volk e Parigi-Roubaix, addirittura potrebbe vantarsi dell’ottavo posto al Lombardia del 1964 vinto da Gianni Motta.
Daniel Mangeas, per una quarantina d’anni lo speaker ufficiale del Tour de France e delle altre corse organizzate dall’Aso, racconta dell’ultima tappa del Circuit des 3 Provinces del 1960, l’arrivo a Louvigné du Désert. “Dalla macchina che apriva la corsa fu annunciato che a 7 km da Louvigné in testa c’erano due corridori, Jean-Pierre Genet e Roland Mangeas. Vantaggio: due minuti”. Roland era il cugino di Daniel. Poi l’attesa, snervante. Finché “ultimo km, ultima curva e stupore: Genet era solo. Poi giunse Gianni. Infine Roland”. Vittima di una foratura a 5 km dal traguardo, il cugino Mangeas aveva dovuto fermarsi, sostituire il palmer, gonfiarlo e ciao. Una decina di anni dopo Marcarini e Daniel Mangeas si rividero al popolarissimo circuito di Vernon nell’Eure: Marcarini da corridore, Mangeas da speaker. “Gianni era lì con la sua famosa maglia nera. L’anno precedente Gianni aveva fatto incetta di premi, tanto era stato irresistibile in volata. Non volendo ripetere la stessa storia, stavolta gli organizzatori gli diedero l’ultimo pettorale e lo fecero partire dall’ultima fila. A peggiorare le cose, assegnarono un premio di mille franchi, una cifra notevole all’epoca, destinata a chi transitasse primo alla fine del primo giro. Il circuito era lungo 900 metri. Gianni partì ultimo, salì sul marciapiede, gli spettatori indietreggiarono e, mentre guardavano stupiti, Gianni aveva già vinto il traguardo e quasi ritirato il premio”.
Marcarini abita a Hennebont, nel dipartimento del Morbihan (teatro di due delle sue tre vittorie), in Bretagna, dove, smesso di correre, aprì una bottega da ciclista. Ma non ha mai resistito al richiamo delle corse, tant’è che è sempre alle corse. Non più a due ruote (ha 85 anni), ma a quattro, quelle di un camioncino che guida e parcheggia, e dove mangia, beve, dorme, nonché custodisce, trasporta e vende maglie, calzoncini, berrettini (“casquettes”), caschi, calzini, palmer, sacchettini dei rifornimenti (“musettes”), corridori in miniatura, perfino libri, collezioni attuali e d’epoca, con qualche pezzo d’autore, una maglia di Felice Gimondi, un’altra di Roger De Vlaeminck, un’altra ancora di Bernard Thevenet, chissà se nel frattempo non le abbia vendute. Lui dice che non lo fa per mestiere, ma “per passatempo”, dunque non per i soldi, ma “per passione, quasi una droga”, spiega che “mia moglie vorrebbe che la finissi e tornassi a casa”, ma ribatte che “non ho nessuna voglia di starmene in poltrona a guardare la tv”, così alle vendite online (ha un sito internet: www.cycles-marcarini.com) preferisce di gran lunga quella diretta stradale, rivela che tiene gli incassi sotto il materasso, e dichiara che quello appena fatto, dalla prima all’ultima tappa, è stato il suo quarantesimo Tour. Ma a giudicare dalla vitalità, c’è da scommettere che non sarà stato l’ultimo.
“Una volta lo incontrai al Tour du Limousin – conferma ancora Mangeas -. Gli dissi che avrei dormito all’Hotel Ibis, poi gli chiesi dove avrebbe dormito lui, mi rispose all’Hotel Mercedes, gli spiegai che non sapevo dove fosse, allora lui prese carta e penna e disegnò un furgone, il suo furgone, un Mercedes”.
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