«Se la Uno X mi stupisce? Non troppo, nel senso che si tratta di un progetto di squadra molto chiaro ed ambizioso. Dietro allo storico passaggio nel Gotha assoluto del ciclismo mondiale c’è un lavoro iniziato da anni, grazie alla competenza di Thor Hushovd ed al convinto sostegno di chi sponsorizza. Credo che alla base di tutto ci sia la determinazione che è poi la stessa dei corridori di sostanza che compongono il roster».
Voce in capitolo ne ha parecchia (oro olimpico a Monaco ’72, titolo mondiale sempre nell’inseguimento individuale a San Sebastian nel ’73, sei tappe al Giro d’Italia) il nostro Cicerone quando si parla di magic moment del ciclismo norvegese. Knut Knudsen, cittadino onorario del centro viterbese diventato una specie di enclave targata Oslo, conserva un rapporto speciale con il Bel Paese, sulle nostre strade ha conosciuto gloria non certo effimera ed ha appena festeggiato i 75 anni (li ha compiuti il 12 ottobre) nella “sua” Vasanello. Con il campione dal cognome di suggestione onomatopeica andiamo per ordine, non senza aver manifestato un po' di invidia verso quella nazione di 5 milioni d’abitanti fresca d’ingresso nel World Tour.
Ne è passato di tempo da quando lei esordì nella Jolly Ceramica, non certo casualmente…
«Le incognite sull’ambientamento potevano anche esserci, eppure nel vicentino venni subito trattato come un figlio ed accolto benissimo dai miei compagni veneti. Già il primo anno appresi molto da Marino Basso e mi ambientai a pieno nel vostro ciclismo, man mano che crescevano le ambizioni del team».
Norvegia “solo” terra di grandi sprinter e specialisti delle gare contro il tempo?
«Direi che possiamo essere competitivi in ogni tipo di corse, seguendo l’esempio dei danesi. Non può sfuggire l’importanza del sesto posto di Tobias Johannessen al Tour de France, anche perché si tratta di un atleta che può dare ancora molto (parliamo del vincitore del Tour de l’Avenir 2021, ndr), così come, sempre restando alla stessa Uno X, c’è stata nel 2025 la vittoria di Abrahamsen nella tappa del Tour de France di Tolosa, oppure il recente acuto di Loland al Giro del Veneto»
Etichetta di corridori solidi forse un po' ingenerosa rispetto al talento?
«Ma no, ben venga, riconosco alla nidiata di corridori norvegesi un surplus di motivazioni e voglia di soffire che era anche il mio, da pistard come su strada negli anni a venire, quando non mi accontentai delle prime affermazioni in carriera. Da questo punto di vista il passaggio ad una squadra di livello assoluto come la Bianchi non mi spaventò, anzi».
Uno X una multinazionale scandinava: ricorda un po' la Bianchi Piaggio dove c’erano anche gli svedesi Prim e Segersall?
«Allora la Svezia aveva già vinto un Giro con Petterson e mi risultano segni di risveglio di quella tradizione. Detto della Danimarca che conoscete, in Norvegia abbiamo anche una bella scena giovanile a supportare le future ambizioni di una squadra creata per trattenere o attirare talenti».
Ciclisticamente l’Italia le ha dato davvero tanto: il ricordo personale più bello?
«Non posso dimenticare il successo della prima tappa del Giro nel 1975, da Milano a Fiorano Milanese, anche perché colto battendo Van Linden e altri nomi di spicco. E poi era il 17 maggio, festa nazionale norvegese: fu davvero qualcosa di incredibile».
Siamo costretti a chiedere del Giro 1979 e di una caduta a Pieve di Cadore che la estromise…
«So che quell’anno ero molto migliorato, come testimonia il primo posto assoluto alla Tirreno Adriatico. Ancora oggi non capisco bene come mai venni buttato a terra da un’automobile, accetto quelle che sono circostanze di corsa».
Del ’79 è bello portare alla mente il successo nel Laigueglia per i complimenti ricevuti.
«Erano quelli di un certo Giancarlo Ferretti, che già durante il raduno in Riviera mi portava ad esempio per l’abnegazione nell’allenamento. Uscivo anche al pomeriggio, a differenza dei miei compagni ed in questa scelta ci vedo il modo di interpretare lo sport di noi norvegesi».
E a Vasanello come capita?
«Grazie a connazionali che già negli anni ’80 avevano aperto un albergo in questo piccolo paese a poca distanza dal confine umbro. Le uscite cicloturistiche tra connazionali sono diventate sempre più frequenti, nel progetto Casa Etronia ho incontrato anche gli amici Sven Langholm, ex ciclista, e Uld Moen, gloria del calcio norvegese, ma soprattutto questo posto mi è entrato nel cuore, ho acquistato una casa in centro storico e ci vivo per la maggior parte dell’anno».
Cosa l’ha catturata?
«Vasanello è come immagino io l’Italia, accogliente e con un modo di vivere genuino, un po' come l’uva che abbiamo appena vendemmiato».
In bici ci va ancora?
«Godendomi ogni pedalata senza spingere più del dovuto, tra una pausa culinaria ed il contatto con la natura. Ah, aggiungo che pedalo su Bianchi e in Norvegia esco ancora con la stessa bicicletta del 1981, pesa un po' di più di quelle moderne ma non importa».
Ha sentito alla tv norvegese Thor Hushovd manifestare interesse per Skjelmose?
«Bene, il tipo di calendario World Tour necessita di un numero accresciuto di corridori, lo sanno bene i dirigenti della Uno X, catena di distributori di carburanti estesa in ogni parte della Norvegia. Sono fiducioso perché non si tratta di un passo più lungo della gamba, la programmazione estrema e l’entusiasmo non vanno messi in contrapposizione».
In conclusione, la candidatura norvegese per la Grand depart del Tour 2030 è solida?
«Può sembrare un sogno, vista l’importanza della manifestazione ciclistica in questione, eppure guardate quanto è cresciuto d’interesse e per accresciuto livello di partecipazione il Tour of Norway. Aggiungeteci la promozione della Uno X e vedrete quanto l’obiettivo Grande Boucle non sia poi così lontano...».
Nella foto, il primo a sinistra è Knudsen a destra, a sinistra Sven Langholm ed al centro il guest di Casa Etronia
