ASPETTANDO IL GIRO. LA VALTELLINA E IL CICLISMO, STORIE DI VETTE AQUILE E CAMPIONI - 4 / FINE

GIRO D'ITALIA | 18/05/2025 | 08:24
di Giuseppe Figini

Una terra, quella di Valtellina, che ha ospitato storici momenti di ciclismo, legati soprattutto al Giro d'Italia. E proprio in attesa dell'ennesimo pèassaggio e arrivo di tappa della corsa rosa, vi proponiano un viaggio in quattro puntate alla scoperta della Valtellina, delle sue montagne, della sua natura e, naturalmente, delle sue storie di ciclismo.


Concludiamo il viaggio nella storia del ciclismo in Valtellina, proponendovi il racconto degli arrivi di tappa del Giro d'Italia.


1972 – 16 tappa PARABIAGO-LIVIGNO
Tappa molto lunga, dalla provincia di Milano a Livigno, km. 256, con il passo del Foscagno nel finale. Salita lunga, km. 23,2 con pendenza media del 4,8%, che parte dalla zona di Bormio e percorre la Valdidentro e permette dio raggiungere Livigno senza dover passare per la Svizzera. La prima carrozzabile data al 1914 e fu costruita per motivi militari e conduce alla quota di m. 2288 del passo dove c’è la dogana e quindi la breve discesa fino a Livigno, a quota m. 1816. Fino al 1953 il passo non era percorribile d’inverno e la comunità del “piccolo Tibet”, così è indicata la zona dell’altopiano, racchiuso fra i monti, dove sorge Livigno, centro che ha conosciuto un grande sviluppo turistico in ogni stagione, con moderni impianti e strutture.

La tappa fu vinta da Eddy Merckx che si difese bene dai continui attacchi portati dalla spagnola Kas, la squadra del piccolo Manuel Fuente, corridore esplosivo in salita ma con il tallone d’Achille di una condotta in corsa assai dispendiosa e dispersiva.

Altro arrivo nel 2005, con tappa partente da Ora, in Alto Adige, passaggio dello Stelvio, con Ivan Basso, valtellinese per parte di madre, in grande crisi. Vittoria di tappa per il colombiano Ivan Parra. La maglia rosa la indossava il bergamasco Paolo Savoldelli, vincitore finale a Milano.

È ora la volta di fare la conoscenza del Passo di San Marco, percorso dal Giro d’Italia per la prima volta nel 1986 con la Erba-Foppolo, scalando il versante valtellinese che inizia a Morbegno e dopo 26,1 km., conduce ai m. 1002 del valico, passando quindi in territorio orobico. È il passo a maggiore altitudine della provincia di Bergamo. La pendenza media è del 6,8% tratti oltre l’11%. Quello bergamasco, che inizia a Olmo al Brembo, presenta una lunghezza km. 19,2 e supera un dislivello di m. 1438 con pendenza media del 7,50%. La sua origine si collega all’apertura della via Priula e prima, nel lontano 1593 (e ancora prima l’antica Via Mercatorum, nome indicativo), voluta dalla Repubblica di Venezia, che per secoli ha esercitato il suo potere nelle terre bergamasche, per agevolare il commercio con il cantone svizzero dei Grigioni e le zone circostanti d’oltralpe, passando per Chiavenna, senza dover incontrare troppe dogane e relativi ostacoli. La strada perse importanza nel tempo per le variazioni di competenze territoriali imposte dalla politica ma, negli anni a cavallo fra il 1970 e 1980, conobbe un rilancio costante quale tracciato, soprattutto turistico, soprattutto per i mezzi a due ruote, con e senza motore.

A metà degli anni 1970, soprattutto in bergamasca, si parlava della possibilità di fare transitare il Giro d’Italia ma, soprattutto dal versante orobico, le condizioni della strada ne decretavano l’impraticabilità. Vi fu una pressione d’opinioni favorevoli ai lavori di ripristino viabile, non indifferenti, e le istanze furono raccolte e coordinate dall’on. Filippo Maria Pandolfi, importante uomo politico bergamasco, diverse volte ministro, che se ne fece partecipe e fattivo promotore.

E fu un arrivo a Foppolo che si ricorda per vari motivi quali l’attacco dello statunitense Greg LeMond, in coppia con il bresciano Roberto Visentini, ai “cari nemici” Moser-Saronni e, quest’ultimo dovette cedere la maglia rosa a Visentini che la conservò fino all’arrivo finale di Merano con 1’02” su Saronni e Moser a 2’14”. Vincitore di tappa è stato lo spagnolo Pedro Munoz, primo anche al primo (rafforzativo…) passaggio di una corsa al passo di San Marco. Il dopo corsa a Foppolo registrò il polemico abbandono, un po’ clandestino, di G.B. Baronchelli, compagno di squadra di Francesco Moser col quale aveva una difficile colleganza, e la drammatica notizia che Emilio Ravasio, corridore brianzolo dell’Atala, 24 anni, non ce l’aveva fatta a sopravvivere alla caduta in corsa durante la prima tappa del Giro in Sicilia.

Altro passaggio l’anno successivo dal versante bergamasco, poi subito ancora nel 1988 scalando il medesimo versante e, infine, nel 2007, da quello valtellinese. Tuttora è meta, con numeri in crescendo, d’appassionati che si godono il panorama pedalando in condizioni sicure per lo scarso traffico veicolare.

MORTIROLO – tappa MOENA-APRICA – 3 giugno 1990
Si prospetta sul palcoscenico della corsa rosa una nuova salita che unisce la Valtellina alla bresciana Valcamonica, oltre a quello dell’Aprica, relativamente assai più agevole rispetto al “terribile” Gavia.

In origine era conosciuto come Passo della Foppa poi affiancato e superato dalla denominazione Mortirolo, il valico, a quota m. 1852, già nel nome suona un po’ sinistro se si accredita una delle versioni relative all’origine del suo nome. Era una strada di montagna, considerata secondaria, stretta e con fondo sterrato utilizzata soprattutto all’epoca di sanguinose battaglie nei conflitti e poi lasciata a sé stessa. Già agli inizi degli anni 1980 la salita fu segnalata agli organizzatori del Giro d’Italia da Giancarlo Gozzi, valtellinese che lavorava in un ente turistico della provincia, ma non c’erano ancora assolutamente condizioni di transitabilità di una corsa. Il discorso non cade però mentre la strada è oggetto di vari lavori di miglioramento. In occasione di un Trofeo dello Scalatore, challenge della Gazzetta dello Sport per specialisti del ciclismo verticale, la direzione del Giro d’Italia compie un sopralluogo con la partecipazione anche di Mario Cotelli, personaggio carismatico dello sport e non solo della sua Valtellina, il Mortirolo è reputato “promosso” e adatto per un passaggio della corsa rosa.  E nel Giro d’Italia del 1990, il Giro tutto in rosa di Gianni Bugno, il 3 giugno, sedicesima tappa Moena-Aprica, dal versante bresciano di Monno, è l’esordio nella massima corsa a tappe italiana, del Mortirolo e, non è esagerato dire, della sua leggenda che ha fatto presa affettiva, pressoché immediata e duratura, conquistando appassionati di ogni dove anche perché è stato il teatro d’imprese di diversi campioni del pedale con spiccata propensione le ascese con forte connotazione di pendenze.

Il primo a transitare in vetta, solitario, al Mortirolo dal versante bresciano è lo scalatore venezuelano Leonardo Sierra che nella discesa in Valtellina diede dimostrazione delle sue scarsissime – o nulle - qualità di discesista tenendo in apprensione, col fiato sospeso, gli spettatori davanti ai teleschermi condendo il suo “show alla rovescia” con un paio di cadute, diverse derapate e un piede sciolto dai pedali per equilibrarsi o, meglio, cercare un appoggio soprattutto nei tornanti. Tutto questo non gli impedì di vincere la tappa all’Aprica, a braccia levate, con buon anticipo sugli inseguitori nonostante la – ciclisticamente- orribile discesa.      

Il versante bresciano è quello altimetricamente più agevole con tratti di “respiro” mentre per raggiungere il passo dal versante valtellinese si prospettano varie soluzioni. Dal versante nord in Valtellina c’è un’ampia possibilità di scelta a partire dall’ascesa “classica” da Mazzo di Valtellina con pendenza media del 10,45% e punte che toccano il 18%, per una lunghezza di km. 12,5 superando un dislivello di m.1300. Segue l’alternativa da Tovo di Sant’Agata, assai simile a quella di Mazzo, poi Grosio con strada più lunga ma con pendenze meno severe e pure dal versante ovest, dall’Aprica precisamente, passando per Trivigno, la più lunga in assoluto, km. 25 circa.

È una salita relativamente giovane nella geografia del Giro ma subito proiettata nelle posizioni di vertice del ciclismo verticale con alto indice di gradimento e richiamo per gli appassionati del genere a livello internazionale.

E la sequenza dei passaggi, 15 con 13 dai versanti valtellinesi, la presa emotiva esercitata da duelli con protagonisti pedalanti “storici” ricordati lungo l’ascesa, ritrovabili negli archivi e nella memoria, giustificano e certificano il fascino che promana dal Mortirolo, anche un po’ a dispetto del nome o, forse, anche per questo.

Il Giro d’Italia ha posto alcuni traguardi di tappa in località non collegabili a un valico ma che, comunque, meritano la citazione.

Giro 1988 – 13 tappa – Bergamo-Chiesa Valmalenco
Vince la frazione lo svizzero Toni Rominger con notevole distacco sugli inseguitori, La maglia rosa era indossata dal toscano Franco Chioccioli. Poi, all’indomani, con la frazione Chiesa Valmalenco-Bormio successe quel che successe sul Gavia. Da Sondrio a Chiesa Valmalenco sono 16 km. di salita relativamente agevole con pendenze abbordabili in peculiare panorama. Dopo Chiesa la strada prosegue accentuando le pendenze. Sono della Valmalenco i due fratelli Bagioli, Nicola che ha già appeso la bici al chiodo e Andrea, il più giovane, validissimo corridore su vari terreni.

Giro 1991 – 15 tappa – Torino-Morbegno
Non ci sono stati in pratica dislivelli in questa tappa. Si ricorda anche perché è l’unica frazione del Giro vinta da Franco Ballerini, il forte passista toscano e poi rimpianto Commissario Tecnico tragicamente scomparso. Di solito non disputava la corsa rosa in quanto soffriva fortemente per le allergie da polline primaverili che ne limitavano le possibilità dopo i suoi exploit sulle pietre delle classiche del nord.

Giro 2009 – 7 tappa Innsbruck-Chiavenna
Chiavenna, centro di riferimento dell’omonima valle, è stata la sede d’arrivo nel 20’09 con una giornata tormentata dalla pioggia con il passaggio del Maloja, m. 1815, scalato dal versante rossocrociato dell’Engadina, dopo Sankt Moritz e affrontare l’impegnativa, assai impegnativa, verso Chiavenna. Vinse il norvegese Edvald Boasson-Hagen.

Proseguendo in ordine cronologico si prospetta nel Giro d’Italia “fuori stagione” per il covid, domenica 22 ottobre 2020. La Pinzolo-Laghi di Cancano, nel Parco nazionale dello Stelvio.

È il “tappone” che prevedeva il Campo Carlo Magno, il passo Castrin e poi la scalata allo Stelvio e quindi, da Isolaccia, l’ascesa finale alle Torri di Fraele – ascesa di km. 8,7 con pendenza media 6,8% - e subito dopo l’arrivo ai Laghi di Cancano, due bacini artificiali con le due torri di Fraele che indicavano un’antica via verso i Grigioni, nello splendido panorama del Parco Nazionale dello Stelvio. Vince l’australiano Jai Hindley anticipando in volata il britannico Tao Geoghegan Hart che con la cronometro conclusiva di Milano indossa la maglia rosa finale e l’australiano alla piazza d’onore.

E per finire, lo scorso anno la "scoperta" del Mottolino, l'arrivo mel cuore di un complesso sciistico che d'estate si trasforma in paradiso del downhill e del divertimento un po' folle sulle due ruote: è stato il teatro dell'ennesima impresa in maglia rosa di Tadej Pogacar.

Questi sopra ricordati sono i passi e le salite della Valtellina che sono parte rilevante del grande romanzo popolare che è il Giro d’Italia.
Meritano di essere ricordate anche luoghi come la Val Gerola, nelle Alpi orobie-valtellinesi, in piacevole ambientazione e conosciuta anche come Valla del Bitto, percorsa dall’ omonimo torrente che dà il nome pure il nome del prelibato formaggio DOP. Zona con interessanti mete per molteplici attività di sport attivo.

Sulla medesima lunghezza d’onda può essere considerata la Val Masino, scavata dall’omonimo torrente che nasce sul Pizzo Badile e nota, già nel passato, per le terme e i bagni.

Non ci sono passi o valichi noti nelle due valli che, a loro volta, ospitano altre valli collaterali in una situazione assai favorevole però anche per la pratica delle due ruote.

Offre scorci paesaggistici e attrattive varie anche la Costiera del Cech, zona che comprende il versante montano retico che si estende dalla Val Masino all’imbocco della Valchiavenna, caratterizzata da temperature più dolci rispetto al fondovalle e sorge sul versante fronteggiante la valle del Bitto e la Val Gerola. La Costiera del Cech presenta vari terrazzamenti con vigneti, castagneti e produzioni agricole tipiche di specifica qualità.

Per la Valtellina potrebbe applicarsi un vecchio slogan abbinato a una trasmissione radiofonica di successo: “Non tutto ma di tutto”. Manca solo il mare...

4 - fine

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