Fra le varie voci volte ad anticipare le tappe relative al percorso del Giro d’Italia 2026 che sarà presentato ufficialmente a Roma il prossimo 1° dicembre con il confratello (o consorella) Giro Women - sovente molto di più di semplici voci rifacendosi anche al detto popolare “voce di popolo, voce di Dio” - figura la partenza di una tappa della corsa rosa del prossimo anno a Gemona del Friuli.
Non è una semplice voce ma una certezza confermata, asseverata per usare un termine giuridico anche da una pubblica dichiarazione televisiva di un Mauro Vegni in una, quasi rara, inedita, versione di vivace loquacità. Loquacità non circoscritta all’ufficializzazione della tappa partente da Gemona del Friuli ma anche, fra vari dico e non dico, con frasi un po’ criptiche, pure in riferimento al suo futuro dopo il previsto e prossimo pensionamento da dipendente di RCS Sport.
La partenza annunciata da Gemona del Friuli si inquadra nelle celebrazioni di ricordo del cinquantenario del disastroso terremoto che devastò la regione nel 1976 con varie scosse dal maggio al settembre di quell’anno con un tragico bilancio del susseguirsi, in diverse fasi, degli eventi sismici che causarono – complessivamente - nei 5.500 mq. colpiti dalle scosse con circa 600mila abitanti - 990 morti, oltre a 100.000 sfollati, 18.000 case distrutte così come diversi impianti industriali da quello che, in lingua friulana, è definito, con il termine di un’antica leggenda popolare “Orcolat”. L’indicazione del significato è chiara nella radice della definizione e non necessita di ulteriori specifiche.
L’epicentro fu proprio nella zona di Gemona, in provincia di Udine, a nord del capoluogo, la più colpita con ripercussioni anche nelle province di Pordenone, Gorizia e pure nei territori limitrofi e confinanti di Austria e Slovenia.
Fu una grande tragedia affrontata con grande coraggio ed incredibile spirito di reazione, oltremodo coraggiosa e fattiva dalla popolazione, a riprova della tenacia e del legame dei friulani (si potrebbe definire amore vero e proprio, senza ostentazioni e vittimismi), cifra distintiva confermata e ribadita della gente friulana che si rimboccò subito le maniche, non solo metaforicamente, con peculiare capacità, nella ricostruzione. E in tempi estremamente rapidi, da record, supportata e agevolata dalle istituzioni sia, nazionali, sia regionali, con il fattivo concorso degli Alpini, sfuggendo a pastoie burocratiche e limitative della straordinaria voglia di fare e ricostruire propria e comune degli abitanti legati alle tradizioni antiche, sempre comunque sentite, del loro “fogolar furlan” che riuniva le famiglie attorno al camino.
E in quell’occasione iniziò l’opera di strutturazione della Protezione Civile con alla testa Giuseppe Zamberletti, parlamentare varesino, nominato dal governo commissario straordinario alle emergenze.
Le difficilissime condizioni derivanti dalle devastanti scosse telluriche rendevano logisticamente inagibili ogni possibilità di sosta e alloggio della carovana del Giro in Friuli e, pertanto, fu escogitata e messa in atto la soluzione della semitappa per rendere comunque omaggio tangibile alle vittime proprio nel cuore del sisma a Gemona del Friuli ridotta in macerie. Una situazione concordata e condivisa con il concerto del consenso univoco di supporto delle istituzioni nazionali e locali. Piccola nota a margine: la soluzione di due semitappe nella medesima giornata di corsa era assai in voga allora anche per allargare il consenso alle richieste. E in quell’edizione della corsa rosa furono ben quattro i giorni di corsa con semitappa oltre al prologo (cronometro individuale) da Bacoli a Monte di Procida.
Il 6 giugno si svolse la prima frazione, da Trieste a Gemona del Friuli con arrivo in volata. Vincitore fu il veloce passistone fiammingo Marc Demeyer della Latina-Flandria, la formazione di Freddy Maertens (già ritirato per caduta) e di Michel Pollentier che vestirà la maglia rosa nell’immagine ancora sulle spalle di Francesco Moser, che il belga poi riuscì a conservare - vittorioso - fino a Milano. Demeyer morì giovanissimo, a soli 31 anni, per arresto cardiaco nel gennaio 1982. Al posto d’onore il veloce bresciano Pier Mattia Gavazzi.
Nel pomeriggio, la seconda frazione, da Gemona a Conegliano che, curiosamente, premiò lo spunto vincente di Gavazzi su Demeyer. Furono due volate serrate, di gruppo.
I ricordi legati all’arrivo della prima frazione a Gemona nel 1977 rimandano ad un evento volutamente concepito e organizzato con la massima sobrietà, con strutture essenziali realizzate in loco, con minima esposizione di espressioni pubblicitarie, limitandola a quelle legate a segnalazioni regolamentari, come dimostrato, con cruda e drammatica eloquenza, dalle immagini qui proposte e da spezzoni di filmati postati in internet.
Praticamente le strutture abituali degli arrivi del Giro di quei tempi, assai e di molto più ridotte rispetto alle attuali, furono tutte indirizzate e montate all’arrivo di Conegliano.
Il quartiertappa, un poco “sui generis”, era collocato in un complesso di strutture definibili ora come polivalenti, in lamiera, collocate nei pressi dell’hotel Willy, allora parzialmente agibile e poi ricostruito, che fiancheggiava – come ora – la direttrice della statale Pontebbana, dopo che il finale di corsa, da quest’arteria di comunicazione provenendo da sud, svoltando a destra, ha percorso la dolce ascesa verso Gemona per circa 300 metri, in viale Dante precisamente. E qui fu posto lo striscione del traguardo. Era impossibile proseguire oltre per le evidenti e ancora fresche e profondissime ferite alla struttura urbana. Il trasferimento del gruppo prima del via della seconda semitappa prevedeva comunque il passaggio, ovviamente non ancora in gara, dal devastato abitato di Gemona che impressionò e commosse corridori e seguito.
Nel complesso realizzato presso l’hotel Willy furono ospitati i corridori per le docce e il pasto comune (assai frugale) che prevedeva riso e/o pasta in bianco per tutti, bistecca o pollo, prosciutto, verdure e frutta preparati con capacità e serviti con velocità ai commensali pedalatori, tutti assieme, senza manifestazioni di tipica goliardia fra corridori, assai compresi nella drammatica realtà.
Ricordiamo i nomi di fattivi collaboratori come Ivano Benvenuti, sindaco dell’epoca e di Claudio Sandruvi, assessore allo sport poi, in seguito, pure lui primo cittadino, che coordinarono il lavoro di validi e precisi volontari locali. E Claudio Sandruvi è tuttora sindaco del confinante comune di Montenars.
Nel 2006 la ricostruita Gemona del Friuli fu sede dell’arrivo della tappa proveniente dall’austriaca Sillian con la vittoria del tedesco Stefan Schumacher mentre nel 2014 ospitò il via della frazione finale della corsa rosa con arrivo a Trieste conclusasi con la volata vittoriosa dello sloveno Luka Mezgec e Nairo Quintana vincitore finale. Era l’epoca delle molte iniziative del compianto, versatile, realizzativo, promoter Enzo Cainero con Gabriele Marini sindaco e già collaboratore del comitato tappa 1977 unitamente a Paolo Urbani designato poi a raccogliere il testimone di Enzo Cainero.
Anche qualche edizione del Giro del Friuli professionisti ha interessato la cittadina friulana.
Ricordiamo che per la tappa del 1977 l’organizzazione della corsa non percepì alcun contributo economico aldilà dell’adempimento di pratica collaborazione con persone e pure strutture locali.
A distanza di tempo si può ricordare un gesto riservato del vulcanico Teofilo Sanson, il cui nome non ha bisogno di illustrazioni ulteriori, patron dell’omonimo squadrone con il suo nome, ultimo di otto figli, nativo di Scomigo, frazione di Conegliano, che convogliò un aumento tangibile, in modo riservato, del contributo stanziato per l’arrivo di Conegliano pro-Gemona per i colpiti dal terremoto. Nel 1976 il poliedrico mecenate dello sport Teofilo aveva acquisito la proprietà e la presidenza dell’Udinese calcio e la condusse, rapidamente, dalla serie C alla A.
A quei tempi succedevano queste cose.