GIGI NEGRI: «NOI CAPIAMO I CORRIDORI, MA SALVATO DEVE CAPIRE NOI E LA VALTELLINA»

GIRO D'ITALIA | 07/06/2022 | 16:58
di Pier Augusto Stagi

Capisce i corridori e anche chi li rappresenta. Li capisce e li apprezza, però desidera essere compreso anche lui, Gigi Negri, che da anni si adopera per promuovere il territorio e la sua Valtellina, con il ciclismo e il Giro d’Italia in particolare.


«Lungi da me fare polemiche - spiega Pier Luigi Negri -, prima di decidere di parlare ci ho pensato un po’ su, poi ho deciso di chiamare voi di tuttobiciweb per puntualizzare e rispondere al presidente dell’Accpi Cristian Salvato, che conosco da anni, ma del quale non mi sono piaciute le parole espresse nei giorni scorsi. Per difendere i corridori o cercare di far digerire uno spettacolo buono ma non buonissimo, ha in pratica detto che nell’ultima settimana forse c’erano fin troppe salite e una tappa come quella dell’Aprica poteva anche essere evitata. Non mi sembrano parole carine nei confronti di nessuno, né tantomeno nei nostri confronti che da anni ci prodighiamo per far conoscere le nostre zone utilizzando il veicolo del ciclismo».


Continua Gigi Negri: «Lungi da me difendere Mauro Vegni, anche perché il direttore del Giro sa difendersi molto bene da solo, ma io credo che lo spartito della corsa rosa fosse molto bello. Se poi i corridori sono arrivati con le gambe corte e la lingua a penzoloni, non ci possiamo fare niente. Dico solo che è il loro lavoro. Se devo proprio dirla tutta dico che la Valtellina merita rispetto: due anni fa, nel Giro del Covid, quello disputatosi ad ottobre, i corridori per le condizioni meteo avverse hanno chiesto e ottenuto l’accorciamento della tappa. Si doveva partire da Morbegno per Asti, invece il via è stato dato ad Abbiategrasso. Noi, in quell’occasione abbiamo abbozzato, capito e ci siamo adeguati, anche i corridori, però, devono anche capire chi in questo sport investe e si prodiga».

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COMMENTI
Non è solo questo
9 giugno 2022 14:07 
Non è solo capire chi nel ciclismo investe e si prodiga (il che è giusto, anzi, giustissimo).
Bisogna anche capire chi del ciclismo ha passione e, tramite ritorno pubblicitario, è alla pari delle organizzazioni locali nel far affluire il denaro che tiene su tutta la baracca.
Il ciclismo, quello su strada in particolare, ha sempre appassionato per l'epica di eroi che forzano i loro limiti impegnandosi in fatiche improbe.
Se adesso lo si vuol trasformare in una serie di circuiti-esibizioni (come dovrebbe dedursi dalle parole del presidente dell'ACCPI Salvato), dato che i circuiti si sono da sempre disputati a medie folli ma senza un accenno di vero agonismo, lasciando il tempo che trovavano (ne scrivo al passato perché ormai ce n'è pochi, e forse chi di ciclismo vive dovrebbe chiedersi il perché), lo si affermi chiaramente e se ne verifichino gli effetti. Che, anche in un Paese come il nostro, secondo solo al Belgio per passione ciclistica, non possono essere che la scomparsa dell'interesse, già peraltro tracollato, verso questo sport.
Che i corridori e chi li rappresenta si mettano l'anima in pace: il ciclismo che piace alla gente è dolore e fatica (e non è sadismo, perché molta di quella stessa gente poi prova a replicare gli stessi percorsi ispirandosi alle imprese dei campioni); altro non può essere perché quello e solo quello è il vero ciclismo.
E noi, questa gente appassionata, di vedere tappe corse a 45 all'ora, tutte controllate dagli squadroni e senza un accenno di lotta tra chi cura la classifica, ne abbiamo abbastanza.
Parlo per me ma credo di interpretare un sentimento comune.
Mi sembra che i nodi siano venuti al pettine: non è bastato svilire le corse accorciandone vergognosamente i percorsi, né è bastato ridurre uno sport all'aria aperta, che aveva nelle condizioni meteo una componente fondamentale nel narrare la propria Storia, ad una disciplina che si disputi solo se c'è bel tempo...ora si dichiara esplicitamente che non si vuol più sopportare la fatica che il loro mestiere (perché di lavoro, anche ben pagato, si tratta) comporta...
Basta che poi non si lamentino se non avranno più seguito e conseguentemente neanche più stipendi.
Come per il tennis, che ha abolite le partite ad oltranza e va trovando ogni espediente per ridurre la durata degli incontri, noi che abbiamo la memoria e la passione andremo in cerca delle immagini delle gare che furono, lasciando alle nuove generazioni i videogiochi con cui le stanno sostituendo.

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