ALESSANDRO BALLAN: «IL FIANDRE, LA MIA CORSA»

INTERVISTA | 06/04/2019 | 07:30
di Pier Augusto Stagi

È da anni che andiamo a sbattere contro i muri e rimbalziamo sul pavé. Non c’è verso di cambiare il corso delle cose: il ciclismo italiano, se non ci fosse Vincenzo Nibali che ci ha regalato in tempi recenti due Lombardia e una Sanremo, non se la passa assolutamente bene. Non vinciamo un Fiandre dal 2007. L’ultimo a riuscirci, Alessandro Ballan. Il veneto di Castelfranco è stato l’ultimo corridore capace di regalare al nostro ciclismo una classica del nord Monumento che domani si correrà per la 103° volta.


In verità Ballan è anche l’ultimo azzurro ad aver vinto la maglia iridata (Varese, 2008, ndr). Siamo aggrappati a questo ragazzo che da poco è sceso di bicicletta e da quest’anno è la voce tecnica della Rai. Domenica affiancherà Francesco Pancani nella cronaca di quella corsa che lui conosce assolutamente bene.


È pronto per questa nuova avventura?

«Devo esserlo. Ho fatto un buon rodaggio alla Strade Bianche, Larciano, Tirreno e Sanremo con Andrea De Luca. Adesso seguirò tutte le classiche del nord fiancando Francesco Pancani».

Più difficile correre in bicicletta o commentare una corsa per la tivù di Stato?

«È chiaro che sono nato per andare in bicicletta, ma mi sto applicando per migliorare anche in questo mio nuovo ruolo. Non è assolutamente facile, c’è da studiare tanto, documentarsi di continuo, ma è certamente un ruolo molto bello e gratificante che spero di poter fare per un po’ di tempo. Arrivo dopo due grandi opinionisti del calibro di Davide Cassani e Silvio Martinello, io in questo ruolo sono come un neo professionista, ma come un ragazzino alle prime armi ho la voglia e l’entusiasmo d’imparare e mettermi in gioco». 

Nel 2007 l’ultimo Fiandre a tinte azzurre.

«Una vittoria esaltante, davanti a Hoste e a Luca Paolini. È la corsa che assieme al mondiale di Varese mi porto nel cuore. Io ho sempre amato le classiche del Nord e il Fiandre per me era la corsa delle corse. Quel giorno ho provato cose incredibili».

Cosa ricorda?

«Tutto. Una nazione lungo le strade, un entusiasmo che non ha eguali. Poi ho bene in mente il mio stato d’animo: non mi sentivo assolutamente bene nel finale. Affianco Baldato, mio compagno di squadra e gli dico: “Fabio, non è giornata”. Lui mi guarda e chiama a raccolta tutti i miei compagni. Cominciano a tirare come forsennati per preparare il mio attacco sul Grammont. Fabio Baldato, Paolo Fornaciari, Massimiliano Mori e Daniele Bennati alla mia ruota: fanno tutti un lavoro pazzesco. Non posso tirarmi indietro. Devo almeno provarci, fare qualcosa per loro. Affronto il Muro davanti, affianco Tom Boonen e gli appoggio la mano sul fianco per chiedergli spazio. Lui mi guarda sorpreso, mentre io parto deciso. Uno scatto rabbioso, va come va: mi guardo alle spalle e con mia sorpresa mi accorgo di aver fatto il vuoto. Meno male che non sentivo la gamba dei giorni migliori…, penso. Vado via a tutta. È un trionfo».

Più il Fiandre o il Mondiale?

«La maglia iridata la vesti tutto l’anno. L’ho vinta sulle strade di casa e mi ha dato una popolarità pazzesca, ma il Fiandre è il Fiandre: è lì nel mio cuore».

Come mai non riusciamo più a vincere una classica del nord: la Roubaix è addirittura dal Secolo scorso (1999) che non la vinciamo (Tafi, ndr).

«Non abbiamo più squadre di World Tour (Champions League del ciclismo, ndr); pochi sono i corridori italiani in questo circuito e quelli che ci sono la maggior parte svolge lavori di gregariato e supporto: pochi sono i big. È una crisi di sistema, di Paese, economica e poi tecnica. Ma sono pochi anche i corridori che hanno queste corse nel cuore. Io quando sono passato professionista, la prima cosa che chiesi e stata quella di poter andare al Nord: lì si respira un’altra aria. Lì c’è l’essenza del ciclismo».

Per tre volte è arrivato terzo anche alla Roubaix.

«Altra corsa pazzesca. Tre volte sul podio, ma non ho mai potuto correrla davvero come avrei voluto: era una corsa che inizialmente ho capito poco».

Torniamo al Fiandre: cosa ci possiamo aspettare noi italiani?

«Gianni Moscon, se non fosse caduto due volte in questo inizio di stagione, avrebbe tutto per poter ben figurare, ma temo che non sia al top. Daniel Oss è un altro atleta di grandissimo valore, che ha tutto per fare bene su queste strade, ma ormai si è ritagliato il ruolo di uomo di fiducia di Peter Sagan e quindi si sacrificherà per la causa. Uno che sta bene ed è maturato davvero tantissimo in questi ultimi anni è Matteo Trentin. Il campione d’Europa in carica è sempre lì, anche se alla Sanremo, con quello scatto nel finale, proprio non mi è piaciuto. In ogni caso se avrà un po’ di fortuna, io penso che sarà lì con i grandi a giocarsi questo Fiandre. Poi noi italiani abbiamo un outsider molto interessante come Alberto Bettiol: se non si fa prendere dalla smania di strafare, lui può essere davvero la sorpresa azzurra».

A questo punto, i suoi favoriti per domenica.

«Peter Sagan che un Fiandre ha già vinto (2016, ndr). Greg Van Avermaet, che ha fatto diversi podi ma non è mai riuscito a fare bottino pieno. Poi Philippe Gilbert e Niki Terpstra. Occhio a Alexander Kristoff, che sta bene, ma attenti a Van Aert, che è cresciuto parecchio. E poi Stybar, Vanmarcke e Lampaert. Attenzione però al giovane Mathieu Van der Poel».

Per vincere il Fiandre occorre più tecnica o coraggio?

«Ci vuole tanta forza: mentale e fisica. E poi una buona dose di fortuna».

Il corridore che l’ha fatta innamorare a questo tipo di corse.

«1994, Andrei Tchmil vince la regina delle classiche, la Roubaix, in una giornata da tregenda. Corsa pazzesca. Nello stesso anno Gianni Bugno vince contro ogni pronostico il Fiandre: per me una gioia infinita».

Più emozionato al suo primo Fiandre da corridore o da opinionista?

«Da corridore ero uno in mezzo a tanti, con il microfono tra le mani sono solo davanti a tutti. Un po’ d’ansia ce l’ho. Sento la responsabilità del ruolo, ma questo è lo stato d’animo giusto per cercare di fare bene».

da Avvenire del 6 aprile 2019

 

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