STORIA | 24/03/2018 | 07:12 A 22 anni è presidente di una federazione, quella dello sci nautico, a 28 presidente del Milan, quello di Rivera e Lodetti, Schnellinger e Cudicini, a 39 presidente del Coni, con le Olimpiadi mezzo boicottate di Mosca 1980 e Los Angeles 1984. A 49 è ministro di Turismo, Sport e Spettacolo, a 50 sindaco di Roma, a 51 presidente del Comitato organizzatore di Mondiali 1990. A 73 anni è eletto senatore. E a 77 scrive (con Emanuela Audisio) un libro sulla propria vita: “Mai dopo le ventitré” (Rizzoli, 308 pagine, 22 euro), l’ora in cui - cascasse il mondo - se ne va a dormire.
Franco Carraro è nato ricco: questa origine privilegiata, da sola, non giustifica il suo abbonamento, più che la sua vocazione, al presidenzialismo, però lo spiega. Laureato in Economia, ha sempre saputo amministrarsi bene fra acrobatici equilibrismi e segreti compromessi, tant’è che è rimasto in sella - e senza neppure aver dovuto presiedere la Federazione italiana sport equestri - per una vita anche fra alcuni giganteschi scandali: dallo sputo di Francesco Totti agli intrallazzi di Luciano Moggi con gli arbitri, compresa l’era dello sport scientifico (o meglio: chimico) affidato a Francesco Conconi.
Carraro (micidiale il giudizio del comico Daniele Luttazzi: “Pesa 75 chili. Senza profumo, 70”) si descrive con eleganza (lui, sempre in abito blu) affidandosi anche a una penna magistrale (quella dell’Audisio, appunto). “Non ricerco il tempo perduto, ne ho buona memoria”, “Tendo alla fedeltà: ho da sempre gli stessi collaboratori e lo stesso brutto carattere”, “Immobilismo e moralismi non mi appartengono”, “Ho accompagnato Lionel Messi da Papa Francesco che, dato che mi ero tolto la giacca, mi ha scambiato per un autista”, “Essere ricompensati dei sacrifici non sporca l’epica, altrimenti lo sport resterebbe uno svago da snob, da lord David Burghley, sesto marchese di Exeter, che si allenava sugli ostacoli posandoci sopra una coppa di champagne”.
Votato allo sport, più da “Poltronissimo” (uno dei suoi soprannomi) che da campionissimo (ha comunque conquistato 11 titoli italiani nello sci nautico), Carraro ha frequentato anche il ciclismo. “A 10 anni andavo molto in bicicletta. Avevo gambe robuste a forza di pedalare da Milano a Como, perché quando chiedevo ad Augusto, il magazziniere di papà, di accompagnarmi, quello protestava: ‘Guardi, signor Carraro, preferisco stare in ditta, con suo figlio mi stanco troppo’”. “In casa eravamo divisi: papà per Gino Bartali, mio zio Vittorio e io per Fausto Coppi. Discussioni a non finire, anzi, litigate pazzesche”, “La bicicletta mi affascinava, c’era un negozio della Bianchi in via Dante (a Milano, ndr) e ogni volta che passavo restavo appiccicato con il naso alle vetrine”, “E c’era Rossignoli, in corso Garibaldi, negozio più popolare, quasi un’officina, che c’è ancora adesso ed è diventato di gran moda”, “Poi sono caduto, mi sono fatto male, e la passione per le due ruote mi è passata”.
Per comprendere gli steroidi di Ben Johnson, Carraro ascoltava i ricordi di Luigi Casola, velocista negli anni Quaranta e Cinquanta, poi responsabile del velodromo olimpico di Città del Messico: “Al terzo giorno prendevamo una pastiglia di simpamina”. Carraro ammette: “La prendevo anch’io, nell’ultima notte prima degli esami, all’università. Quando ero in ritardo con lo studio. Ti dava brillantezza e ti teneva sveglio”. Poi riporta: “Casola racconta che a Coppi l’attività sessuale piaceva molto ed erano poche le donne che gli resistevano. Alla fine ne prendevano manciate”.
Per valutare un’esistenza non è indispensabile consultare l’indice dei nomi, ma nel caso di Carraro aiuta. Da Pietro Mennea a Teresa di Calcutta, da Sara Simeoni a Nelson Mandela, da Pelè a Bob Dylan, da Michel Platini a Sophia Loren, da Roger Federer a Brigitte Bardot. Piani alti.
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