ANTONIO NIBALI, NON SOLO FRATELLO DI

PROFESSIONISTI | 27/11/2017 | 07:28
La carta segreta di Vincenzo Ni­bali? La mira del fratello Antonio. Il più piccolo dei figli di Salvatore e Giovanna, cresciuto ammirando Enzo (più grande di lui di 8 anni), da quest’anno è suo prezioso gregario alla Bahrain Merida. Com’è essere compagni di squadra del proprio fratello? E com’è stare accanto a un grande campione? Antonio ce lo può raccontare meglio di chiunque al­tro. A 25 anni ha esaudito il sogno di correre con Vincenzo e, gara dopo ga­ra, ha dimostrato di valere un posto al suo fianco, mettendo a tacere gli invidiosi che erano convinti che fosse arrivato al World Tour solo per raccomandazione. Ha debuttato in un Grande Gi­ro come la Vuelta e preso parte a nu­merose corse World Tour dimostrando di poter essere un valido aiuto per la squadra. Di cognome fa Nibali. Un no­me ormai pesante nel mondo del ciclismo. Non ha sconti, anzi. Deve menare forte. Vincenzo, anzi Enzo come lo chiama lui e chi lo conosce da sempre, è un capitano esigente.

Soddisfatto del tuo primo anno tra i big?
«Sì, mi sono dimostrato costante lungo tutto la stagione. Ho fatto quello che mi ha chiesto la squadra e penso di aver­lo fatto bene. L’impatto è stato forte, ma bello. Mi sono trovato subito bene anche se è un mondo completamente differente rispetto a quello da cui arrivavo (ha militato due anni alla Nippo Fantini De Rosa, ndr). Per quanto riguarda il team la novità più grande per me, che arrivavo da una Professional, è che è tutto già bello preparato: tac-tac-tac e si pensa solo alla vittoria. Quello che fa la differenza sono le corse: il calendario World Tour è davvero duro».

Quanto sei cresciuto?
«Tantissimo. Ho partecipato a corse di grande spessore, quelle che ti “fanno le ossa”. Quella in cui mi sono piaciuto di più è senz’altro stata il Giro dell’Emi­lia, la squadra è stata davvero su­per e anch’io personalmente ho firmato una bella prova. La più difficile è invece stata il Delfinato, nell’ultima tappa ho sofferto da matti per un problema al soprassella, tanto che non riuscivo a pedalare e sono stato costretto al ritiro senza poter a portare a termine la corsa».

Hai cambiato qualcosa nella preparazione?
«Niente di particolare, ma in generale sono più attento ai dettagli. Essere seguito da un preparatore che si occupa solo di sette corridori e non di tutto il team vuol dire avere una persona su cui puoi contare e che concretamente ti dedica più tempo. Con Paolo Artuso mi sono trovato subito in sintonia. In più abbiamo svolto numerosi ritiri con la squadra e questo conta molto. Quan­do sei in compagnia, con l’allenatore vicino, il massaggiatore e il meccanico che ti seguono in macchina e ti possono dare assistenza, puoi pedalare più ore rispetto a quando sei da solo a ca­sa. Più di tutto, però, la differenza nel “motore” la fanno le corse a cui partecipi».

Hai dimostrato di non essere arrivato nel WorldTour solo perché ti chiami Nibali...
«Direi proprio di sì e questa è la soddisfazione più grande che mi sono tolto. Dall’inizio dell’anno ho sempre tirato e svolto con il massimo impegno i compiti che mi affidavano i direttori. Nella prima parte di stagione sono stato al fianco di Jon Izaguirre, nella seconda più spesso vicino ad Enzo. Mi sono mes­so in mostra all’Emilia, al Giro di Lombardia, ma anche alla Vuelta a España, che è stato il mio primo Gran­de Giro di sempre. Ho svolto il mio dovere nel modo più professionale possibile».

Che effetto fa correre al fianco di tuo fratello, che non è proprio l’ultimo dei corridori in gruppo...
«La gente fa il paragone, ma non me ne sono mai curato troppo. Dentro di me so quello che posso fare e dare. E quello che può fare lui. In gara è il capitano, comanda lui: se dice avanti è avanti, se dice dietro è dietro. Fuori dalle corse è mio fratello e siamo alla pari. Se ho ragione, si fa come dico io. Mi ascolta. Gli chiedo tanti consigli. Per me è quello di sempre, per certi aspetti speciale, per altri una persona come le altre».

Correndo al suo fianco, cosa ti ha colpito?
«L’affetto della gente nei suoi confronti. In gara, soprattutto in Italia, sento urlare il nome Nibali un’infinità di vol­te. E visto che anche io mi chiamo Ni­bali mi piglio anche io i miei applausi, che male al morale non fanno (sorride, ndr). Oltre a quello rimango sempre sbalordito dalla tranquillità di En­zo, prima e durante le gare, anche se è tra i favoriti e tutti lo aspettano. Sta sempre con i piedi per terra, con la mente lucida e non stressa chi gli sta vicino. Se per esempio c’è un pericolo lontano dall’arrivo non si agita, se deve fare uno sforzo a 200 km dal traguardo lo fa semplicemente perché va fatto, ha sempre sotto controllo la situazione. Ha una visione tattica fuori dal comune».

In cosa vi assomigliate?
«In niente e in tutto. Dicono la voce, il viso... Non saprei dirlo».

In cosa siete totalmente diversi?
«Anche questa è una domanda difficile. Vediamo... Abbiamo qualche piccola abitudine differente. Lui la mattina si veste subito da bici e fa già colazione pronto per uscire ad allenarsi, io invece sto in pigiama finché posso».

Hai iniziato a pedalare guardando lui?
«La passione l’ha trasmessa a entrambi papà. Lui ha iniziato ad andare in bici molto prima di me, io andavo a vederlo quando ancora non avevo l’età per correre. Quando lui si è trasferito in To­scana, io ho mosso i primi passi ciclistici in Sicilia con i fratelli Mar­chetta da G3. Successivamente l’ho raggiunto a Ma­stromarco e da lì non mi sono più mos­so. Un anno ho anche usato la sua bici, da allievo pedalavo con una sua Can­nondale dei tempi in cui lui indossava la maglia della Liquigas. All’epoca mai avrei pensato che un giorno lo avrei raggiunto tra i professionisti, figurarsi nello stesso team».

Cosa invidi a tuo fratello?
«La sua abilità in discesa. Anche se è sempre per terra (ride, ndr). Ovvia­men­te scherzo, è il numero uno nel guidare la bici».

Cosa gli auguri?
«Salute e fortuna per poter raggiungere i pochi traguardi che gli mancano da conquistare. So che ci tiene a far sua la Liegi-Bastogne-Liegi. Il percorso è adatto alle sue caratteristiche, è già ar­ri­vato secondo, è senza dubbio una classica alla sua portata».

Lui ama la tecnologia, a te cosa piace fare nel tempo libero?
«Guardare film, stare con gli amici, giocare con il cellulare. Mi piacciono i videogame in cui si tira con l’arco o si spara guardando nel mirino del fucile. Lui passa le giornate a smontare e ri­montare le cose, se rompo qualcosa la porto a lui che in qualche modo la ripara sempre».

A scuola come andavi?
«Non bene. Mi sono diplomato in Ra­gio­neria, ma che fatica (sorride, ndr). Ec­co, in questo siamo simili. Non ab­bia­mo mai amato stare chiusi in casa a studiare, ai libri abbiamo sempre preferito le avventure all’aria aperta. Se in bici ancora meglio».

In cosa sei più bravo di Vincenzo?
«A sparare con la pistola alle fiere. Ave­te presente i giochi che consistono nel buttare giù bersagli di latta? In quelli sono fortissimo. Magari un do­mani mi dò al tiro al piattello o a qualche altra disciplina del genere. Lì per essere il migliore non conta l’età o quanto pesi, posso anche farmi crescere la pancia (ride, ndr)».

Dove e con chi andrai in vacanza?
«Di certo con la mia ragazza Chiara. Ci siamo conosciuti anni fa a una gara, suo fratello correva, e ora viviamo in­sie­me a Lamporecchio. Dopo la Tai­wan KOM Challange, ultima fatica del 2017, stiamo decidendo dove andare. Un salto a casa lo farò sicuramente. Della Sicilia mi mancano il sole, il ma­re, le granite, ovviamente la famiglia, quindi ogni volta che riesco scendo. Mam­­ma e papà sono contenti, vedere due figli realizzarsi insieme è il sogno di ogni genitore».

Ambizioni per il prossimo anno?
«Punto a una buona stagione, nella qua­le vorrei cercare qualche risultato personale. Quest’anno ho avuto la possibilità di disputare corse davvero belle come la Freccia Vallone. Mi affascinano le classiche, vorrei prendere parte a quelle delle Ardenne. In quelle terre c’è la passione del ciclismo più vero. In base al programma che stilerà la squadra, farò del mio meglio in qualsiasi ga­ra. Il ciclismo per me non è solo un lavoro, è passione e libertà. Per questo quando attacco il numero alla schiena sono pronto a dare tutto».
Si chiama Nibali mica per caso.

Giulia De Maio, da tuttoBICI di novembre
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COMMENTI
Corridore
27 novembre 2017 11:52 cocco88
Buon corridore ma qnt c%u2019è ne sono tra i dilettanti o senza contratto meglio di lui ???

tanti
27 novembre 2017 15:15 sarofalsaperla
bah hai ragione troppi !!!

certamente
27 novembre 2017 23:54 Ciclismopuro
tanti dilettanti meglio di lui, vero! Con tante ambizioni, che magari non aiutano e non si dimostrano di essere forti come nella categoria minore ! Lui è passato per lavorare, non per fare il campione, il suo lavoro lo fa egregiamente.

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