PROFESSIONISTI | 19/06/2017 | 07:19 Il tempo fa un mestiere strano, a volte cancella, ma spesso precisa e definisce. Il tempo è quello che ha in pratica deciso questo magnifico ed elettrizzante Giro Cento.Tempo bello, sempre. Troppo asciutto, senza una goccia di pioggia, corso dall’inizio alla fine con temperature ideali, senza alcuno sbalzo di temperatura.
Il tempo precisa e definisce, come nella crono finale e definitiva da Monza a Milano: 29 km che sono serviti all’olandese volante Tom Dumoulin per ribadire a tutti che contro il tempo non si bluffa. Il tempo è galantuomo, e ha premiato questo ragazzone possente, bello e sorridente di Maastricht, che ha regalato per la prima volta nella storia un Giro d’Italia all’Olanda.
«È incredibile, semplicemente incredibile», sono le sue prime parole. A caldo e nel caldo di una Milano afosa e affollata all’inverosimile. Calore a tutto tondo. «Non so davvero cosa dire». Incredulità e felicità sul volto di Tom Dumoulin appena prima di salire sul podio finale del Giro d’Italia.
«La tappa? Non ho voluto che mi dessero i tempi di riferimento, ma quando a metà gara mi hanno urlato di non rischiare ho capito che le cose stavano andando bene. Mi si è gelato il sangue quando ho visto una sovrimpressione che indicava Quintana a soli 3 secondi, poi quella successiva mi ha rincuorato. E alla fine è stata gioia vera».
E ancora: «Non pensavo alla vittoria finale. Non ci ho mai davvero pensato, perché lo ritenevo un pensiero bislacco. Ho lavorato per il podio, questo sì, fin dall’inizio. Sono andato bene sul Blockhaus, dove ho chiuso molto soddisfatto della mia prestazione. E poi la tappa di Oropa (vinta, con un tempo di scalata alla Pantani, solo 15” di più, ndr) è stata per me una sorta di spartiacque. Non so quali saranno i miei programmi per il futuro, ma voglio tornare per vincere ancora il Giro d’Italia, una corsa che per me è davvero fantastica».
Incredibile Giro, incredibile “Duemulini”. Il Giro finisce col risultato previsto. Lo vince meritatamente questo ragazzone olandese che è stato protagonista dall’inizio alla fine e, forse, è stato anche un tantino sottovalutato. Nella tappa di Bormio, ad esempio, quella del Mortirolo e della doppia scalata dello Stelvio, vinta dal nostro Nibali, l’olandese vive la crisi più nera. Si deve fermare in un campo, per una terribile crisi di dissenteria. Perde un minuto, ma quel giorno, vince il Giro. Mentre Nibali vola verso la vittoria, l’olandese non crolla. Resiste da solo, lottando come un leone, con tutte le sue forze. In salita viene su con i tempi dei migliori. In discesa va giù anche più forte di Vincenzo. Insomma, a Bormio i vincitori sono due: Nibali e Dumoulin, che non perde.
Se c’è un corridore che per tre settimane si è dimostrato di taglia superiore, questo è proprio Tom Dumoulin. Bravo a sfruttare le prove a cronometro (70 chilometri a suo favore, ndr), ma soprattutto bravissimo a reggere il passo degli specialisti in montagna. Si porta a casa un Giro prestigioso dopo aver corso con intelligenza e sapienza, senza mai perdere la calma. In verità in una occasione dorme, ma è bravo e fortunato. Perché un Giro, un Grande Giro, lo si vince sempre con tanta forza e un pizzico di fortuna. Nella tappa di Piancavallo, penultima frazione di montagna, a 120 chilometri dal traguardo, mentre i suoi compagni di squadra sono in testa a scandire l’andatura del gruppo, lui è in fondo nelle ultime posizioni. Ad un certo punto lungo la discesa di Sappada i Movistar - gli uomini di Quintana - provano un’azione a sorpresa. Il gruppo si spacca in due tronconi. Davanti resta un gruppo di una quarantina di unità, con tutti i migliori meno Yates, Mollema, Kruijswijk e la maglia rosa. Una dormita colossale, ma l’olandese si salva, grazie agli olandesi (e agli australiani) e alle loro squadre.
A rendere più grande e credibile il trionfo di Dumoulin, un podio con due grandi battuti. Accanto all’olandese, due pezzi da novanta: Quintana e Nibali. Dei due, il vero sconfitto è il colombiano. Venuto in Italia per puntare alla storica doppietta Giro-Tour, se ne torna a casa con le pive nel sacco. Perde male, e anche meritatamente, perché non fa nulla per imporsi. Non è la crono a castigarlo, ma la sua condotta apatica e poco generosa: corre con il braccino, contando le pedalate. Ma di questo ne parliamo in altra sede.
Tornando a Tornado Dumolin, la sua vittoria non ha se e neanche ma. Lui ha fatto tutto quello che doveva fare per portarsi a casa la maglia rosa. Di questo Giro Cento è stato chiaramente il simbolo. Forte, bello ed elegante come pochi nelle prove contro il tempo. Una lama affilata a tagliare l’aria come nessuno. In salita si è difeso come pochi sarebbero in grado di fare.
L’olandese è stato staccato tre volte da Quintana: sul Blockhaus, dove ha perso solo 24 secondi; nella tappa dello Stelvio, dove l’olandese s’è dovuto fermare in mezzo a un campo per un bisogno fisiologico importante; nella tappa di Piancavallo, dove ha commesso un errore da principiante (lo ha ammesso lui stesso) facendosi beccare indietro in discesa e di conseguenza staccare. Infine, ad Asiago, ha contenuto il distacco in soli 15 secondi. In compenso, dopo avere sverniciato tutti nella crono del Sagrantino è passato sulle orecchie dei rivali ad Oropa su una salita che, giratela come volete, non è da passisti ma da scalatori.
«Non sono il primo cronoman che vince un Grande Giro. Il primo nome che mi viene in mente è Miguel Indurain. Ma anche Bradley Wiggins c’è riuscito. Comunque non voglio fare paragoni con il passato. Ma voglio solo godermi questa vittoria magnifica».
Poi passa a raccontarsi, sereno e compiaciuto. E chi non lo sarebbe? «Io mi sono sempre difeso in salita. Alcuni dicono che ho avuto i questi ultimi anni una trasformazione, ma non è assolutamente vero. In tre anni ho perso due chili sì e no. Quello che ho cambiato è il metodo d’allenamento. Vivo in Belgio, ma vicino a Maastricht, dove non ci sono grandi salite ma solo qualche collina. Così mi sposto spesso a Tenerife o a Sierra Nevada. Ho imparato molto. E soprattutto ho imparato a soffrire di più. Ho allenato meglio il fisico, ma ho allenato alla fatica soprattutto la mente». Che poi è elemento fondamentale anche per essere numero uno nelle prove a cronometro: tanta potenza, ma anche tantissima concentrazione.
Poi a chi gli chiede quale sia stata la giornata più difficile, l’olandese non ha problemi a identificarla: ce l’ha ben in mente. «Quella di Piancavallo, quando Quintana mi ha staccato - dice -. Ho sofferto molto a livello fisico, ma anche psicologico. Credo che fosse legato ancora a quello che mi è successo sullo Stelvio. Dopo quel giorno ho avuto qualche problema alimentare. Però l’esperienza della Vuelta 2015 è stata importante. Ho pensato solo a mantenere la calma e a cercare di limitare i danni. Ha proprio ragione Mikel Landa: quando si perde si impara. Io due anni fa ho perso, ma ho imparato tanto. Per questo quest’anno sono riuscito a vincere».
Pensa al prossimo Giro, ai prossimi obiettivi, Tom. Ma anche ad una carriera appena sbocciata, tutta da scrivere. Intanto c’è chi l’ha incoronato: a Milano e in Patria. «Mi ha telefonato il Re d’Olanda in persona - racconta estasiato Tom -, Willem-Alexander, che lo scorso anno al via da Apeldoorn mi consegnò la prima maglia rosa. Era entusiasta, mi ha fatto un sacco di complimenti, mi ha detto cose che preferirei tenere per me, ma posso dirvi che si è detto orgoglioso di avere finalmente il primo olandese in rosa. Io di questo sono grato e fiero. Mi sembra di vivere una fiaba». Invece è tutto maledettamente vero.
Sogna il Re del Giro. Sogna ad occhi aperti, ma sogna anche che la sua vita cambiata non cambi troppo. Lui che vive con la sua fidanzata Thanee Van Hust (che fa la psicologa), dice di amare la normalità, che vorrebbe difendere con la stessa forza ed energia mostrata per difendere la rosa: «Spero che la mia vita non cambi per niente, anche se ho paura che non sarà possibile. Vorrei conservare la possibilità qualche volta di restare anonimo, di passare inosservato. Vivo a Kanne, in Belgio, a una ventina di metri dal confine con l’Olanda e a pochi chilometri dal centro di Maastricht. Io sono un ciclista di livello, in un certo senso ho scelto la vita di un personaggio pubblico. Ma i miei cari spero proprio che siano risparmiati».
Una carriera sportiva che è iniziata però su un campo di calcio, come per tanti ragazzi della sua età. «Non ricordo la prima volta che sono salito in bicicletta. La prima gara sì, avevo 15 anni. Giocavo a pallone, poi mi sono avvicinato al ciclismo, anche perché l’Olanda è un paradiso per le due ruote: non crediate che in Italia, in proporzione, ci siano meno appassionati di ciclismo agonistico rispetto all’Olanda. Mio papà (John, ndr) è il capo di un dipartimento di un ospedale a Maastricht, lui e mamma Erna (lavora nell’amministrazione locale), non hanno mai avuto delle passioni particolari. Una delle mie due sorelle, a Las Vegas, ha vinto un campionato mondiale di ballo. Idoli nel ciclismo? Nessuno. Diciamo che ho sempre avuto nel cuore il Giro, quello sì. Quando partì da Groeningen, nel 2002, non avevo neppure 12 anni. Poi quando è partito da Amsterdam nel 2010 non mi sono perso una tappa. Alla partenza di Apeldoorn, un anno fa, ho vestito per la prima volta la maglia rosa ed è stato fantastico, ma mi ha colpito tantissimo l’orgoglio degli italiani. Siete un popolo accogliente e passionale: è bello correre sulle vostre strade, attraversare i vostri paesi».
Al forte corridore olandese non è mai piaciuta la definizione di “farfalla di Maastricht”. Lui è un duro, un vero guerriero, indomito e instancabile, e la farfalla è senz’altro un insetto bello ed elegante, esattamente come Tom quando mulina i suoi lunghi rapporti nelle prove contro il tempo. Ma in salita lui non va su con un battito di ali, tutt’al più batte e abbatte, dopo aver lottato come un gladiatore, tutti quelli che si trova davanti. Gli piace di più Beautiful Tom, visto che con il gentilsesso incontra parecchio. «Chiamatemi come volete, a me va bene tutto. L’importante è che continuiate a chiamarmi». Beautiful Tom.
E' UN CAMPIONE MODERNO CHE HA VINTO >"ALL'ANTICA", SBAGLIANDO, RISCATTANDOSI, LOTTANDO SOVENTE SENZA SQUADRA. IL FATTO STESSO CHE ABBIA GIA' RINNOVATO CON LA STESSA SQUADRA PER ALTRI 4 ANNI (!) SE VERO, LA DICE LUNGA SULLA PERSONALITA' DI QUESTO RAGAZZO CHE ESCE DAI CANONI TRADIZIONALI,A MIO AVVISO, DEI CAMPIONI MODERNI DELLA BICICLETTA.
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