TUTTOBICI | 13/11/2016 | 07:27 Trionfo tricolore nell'Oscar tuttoBICI Gran Premio GR Grafiche: ad imporsi è stato infatti il campione italiano degli Elite Davide Orrico del Team Colpack che ha preceduto il compagno di squadra Fausto Masnada. Conosciamo meglio questo 26enne comasco che l'anno prossimo difenderà i colori della continental Norda Mg.Kvis Vega.
Ti aspettavi di chiudere il 2016 come atleta migliore della tua categoria? «Per come erano andate le ultime stagioni assolutamente no, ma l'anno scorso con un'operazione finalmente ho risolto il problema che avevo all'arteria perciò ero fiducioso di poter esprimere finalmente le mie qualità. Potevo pedalare ore e ore ma quando aumentavo lo sforzo avvertivo dolore al quadricipide e al gluteo, praticamente avevo l'arteria iliaca esterna sinistra chiusa rispetto al normale, ciò mi causava la sensazione della "gamba morta". I medici ci hanno messo tanto a diagnosticarmi la sindrome di Chevalier, ho buttato via migliaia di euro per trovare la soluzione finchè l'ho incontrata all'ospedale di Prato grazie ai dottori Raugei e Gori e alla loro equipe di emodinamica. Ho scoperto che è un problema frequente tra i ciclisti, il papà del mio compagno Riccardo Minali ne ha sofferto negli anni '90, si sono sottoposti a questa operazione Andrea Tonti, uno dei fratelli Velits, Cummings e anche Kruijswijk lo racconta nella sua biografia. L'operazione è stata la svolta. Quest'annata senza intoppi è andata oltre mia più rosea aspettativa, la maglia tricolore è stata una bella iniezione di fiducia, da giugno in poi è venuto tutto semplice e mi sono praticamente sempre piazzato nei 10».
Il momento indimenticabile? «Il successo tricolore a cui è seguita la mia proposta di matrimonio a Nadia resterà nella nostra storia. Convoleremo a nozze l'anno prossimo a settembre/ottobre, dobbiamo organizzare ancora tutto ma taglieremo questo traguardo insieme, un passo alla volta come abbiamo sempre fatto. Negli ultimi due anni ho avuto una serie di sfighe terribili, mi sono rotto in ogni maniera possibile però grazie alla mia testardaggine e al supporto dei miei cari non ho mai mollato. Devo dire grazie alla Colpack per avermi sempre sostenuto e alla mia famiglia. Senza il sostegno di mamma Olga e papà Giancarlo avrei smesso già da tempo. Mio fratello Simone ha avuto un ruolo fondamentale nel mio salto di qualità, non avete idea di quanti chilometri mi ha fatto fare dietro moto quest'anno. In pausa pranzo e appena aveva un po' di tempo libero dal lavoro abbiamo macinato insieme migliaia di chilometri, mi è servito moltissimo. Non avendo avuto intoppi fisici mi sono tolto tante soddisfazioni, sono stato competitivo tutto l'anno e dopo l'Italiano la stagione è decollata. Con questa gamba è tutta un'altra vita».
Come sono andate le vacanze? «Molto bene, sono stato in Tailandia con Nadia, ha scelto lei la meta, a me andava bene tutto, mi bastava rilassarsi al caldo. Sono molto attaccato a casa. Conviviamo da due anni e mezzo a Sagnino, l'ultimo paese italiano prima della Svizzera, dove lei lavora come fisioterapista. In casa abbiamo con noi Pedro, un levriero che arriva dalla Spagna e abbiamo adottato da una associazione che si prende cura di animali maltrattati. Siamo proprio vicino al confine, mi capita di trovare in allenamento Fabio Aru, un ragazzo che stimo molto, e altri professionisti che vivono da queste parti. Ricaricate le pile, sono pronto a ritornare in sella. Tra i dilettanti quello che dovevo fare l'ho fatto, speravo fortemente nel salto di categoria. Ho sempre ritenuto la bici il mio lavoro, ci metto la massima dedizione da sempre».
A che età hai iniziato? «Da G1 per sfida, nonno materno Pierino era un super appassionato di bici ma per il resto in famiglia non ci sono patiti di ciclismo, li ho trascinati io a vedere le gare in tv. Giocavo a calcio e un pomeriggio volevo fare una salita dura qui in zona in sella alla mtb gialla su cui mi divertivo. "Se riesco ad arrivare in cima mi iscrivete a una squadra" avevo detto ai miei, ci riuscii così mamma chiamò l'Ambrosoli di Faloppio e per sbaglio prima di riuscire a contattare la squadra di ciclismo in cui avrei militato da lì ai successivi 10 anni telefonò alla Faloppiese, squadra di calcio. Provarono a dirle di portarmi da loro a tirare calci al pallone ma io ero deciso: volevo andare in bici. Sono sempre rimasto fedele alle mie squadre, da allora seguirono 2 stagione al Canturino e 2 alla Bergamasca, poi diventata Colpack».
La categoria elite è particolare... «Quando passi da Under 23 a Elite per molti hai già un piede nella fossa. Cè chi pensa che gli Elite siano solo ragazzi che non vogliono andare a lavorare invece ognuno ha la sua storia e passare professionista al giorno d'oggi è sempre più difficile. Io sono un esempio lampante: ho sofferto diversi problemi fisici e anche per questo ci ho messo di più di altri a maturare. In generale comunque è sempre più difficile dimostrare il proprio valore essendo Elite e ottenere un contratto tra i grandi perchè non ci sono squadre in Italia. Se continuiamo così tra 4-5 anni in gruppo ci saranno 150 elite e 50 under, la gente si dovrà abituare all'idea che essere elite non vuol dire essere vecchi e mettersi in testa che ognuno ha il suo tempo di maturazione psicofisica».
Ciclismo fa rima con...? «Scuola di vita. Tantissime volte ne parlo con Nadia e le dico che quando avremo un bambino sarà ovviamente libero di scegliere quale sport praticare ma io gli consiglierò di certo il ciclismo. Per come lo interpreto mi ha insegnato a perseverare sempre, a rispettare le regole, a inseguire il mio sogno, a non mollare mai. La bici ti impone norme morali e allo stesso tempo ti offre libertà. Mi fa sentire un ragazzo fortunato». Giulia De Maio
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