STORIA | 07/08/2016 | 07:40 Che cosa hanno in comune Grace Kelly e Charlotte Rampling? Il cinema, ovvio: per la prima, principessa di Monaco, “Mezzogiorno di fuoco”, “Il delitto perfetto” e “La finestra sul cortile”, per la seconda “La caduta degli dei”, “Il portiere di notte” e “Stardust Memories”. E poi in comune, meno ovvio, due genitori olimpionici: Jack Kelly, tre ori per gli Stati Uniti nel canottaggio fra i Giochi di Anversa del 1920 e quelli di Parigi del 1924; e Godfrey Rampling, atletica leggera, un oro e un argento per la Gran Bretagna nell’atletica leggera fra i Giochi di Los Angeles nel 1932 e quelli di Berlino nel 1936.
“Fin da giovanissimo - racconta Charlotte nell’autobiografia “Io, Charlotte Rampling”, scritta con Christophe Bataille (66thand2nd, 120 pagine, 18 euro) – mio padre aveva voluto arruolarsi nella Royal Air Force: essere un giovane dio accanto al sole. Cercare la gloria in una fusoliera di cera. Godfrey Lionel Rampling era alto e forte, e superò gli esami del Collegio militare. Ma era di indole nervosa, e quando dovette sottoporsi a un test spirometrico, piuttosto semplice per uno come lui, fallì”. Niente più aeronautica. “Profondamente ferito, mio padre entrò nell’artiglieria. Fu inchiodato al suolo”. Non proprio. “Quell’insuccesso lo spinse a correre. La debolezza fisica si trasformò in ossessione di vincere a ogni costo. Trovò in sé stesso il respiro che i medici gli avevano negato”. Finché un giorno “William, il fratello di mia madre, invita a casa un amico -. Hanno entrambi vent’anni. Si frequentano spesso. Mia madre ha un colpo di fulmine e capisce che quello diventerà il suo uomo. Ha dodici anni. Quel bell’atleta tenebroso, distante, un po’ rigido nell’uniforme militare, già si allena per le Olimpiadi”.
Nel 1932 Godfrey Rampling partecipa ai 400 metri individuali, con 48” si ferma in semifinale, nella staffetta 4x400 con 3’11’2 i britannici si arrendono solo agli statunitensi, che stabiliscono il record del mondo con 3’08”2. Quattro anni più tardi si migliora nella prova individuale, 47”5, ma si arena ancora in semifinale, poi però trionfa nella staffetta con 3’09” davanti agli statunitensi con 3’11”. “Nell’arena di Olimpia – ricorda Charlotte – fu ammirato da tutti. Non era più un uomo, ma un angelo, un semidio alato caduto nella sua isola. Era Ariel”.
La felicità tramonta, si eclissa. Charlotte scrive che “dopo la guerra mio padre si ritrovò senza soldi. Allora cercò di vendere la sua medaglia o di farla fondere. Andò da un gioielliere di Londra e insieme scoprirono che la medaglia era di acciaio. Hitler gli aveva rifilato paccottiglia. Poi la medaglia sparì, semplicemente, forse andò smarrita durante uno dei nostri traslochi. Per mio padre quella medaglia contava e non contava”. Non solo. “Un giorno mia madre non si alza più. Mio padre la veste, la fa mangiare. La ascolta. Le spinge la sedia a rotelle. Le fa da marito e da mondo intero. Diventa il custode della sua vita”.
Compirà i cento anni, Godfrey Rampling, prima di morire. “Il colonnello se n’è andato in un sonno tranquillo… Gli ultimi giorni aveva la pelle grigia, il polso debole… Qualche preghiera, un po’ di musica, due letture, la famiglia. Semplicità assoluta, come avrebbe voluto lui”.
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