È preoccupato David Lappartient, il numero uno del ciclismo mondiale. È preoccupato quanto noi e quanto chi è chiamato a trovare risorse sempre più esigenti per formare team che sono sempre più aziende. Tanto è vero che di aziende, ormai, non se ne vedono quasi più e quelle che ci sono, sono mostrano il fiato corto, cortissimo. Occorrono multinazionali, Fondi sovrani, nazioni che investono in prima persona: lo scenario non è più lo stesso di qualche anno fa e la sorpresa di Lappartient, mi sorprende.
È chiaro che fin qui siamo arrivati dopo un lungo cammino, fatto con altri presidenti, altri stakeholder, altri corridori e presidenti, ma negli ultimi anni l’accelerazione è stata evidente e sono i numeri a dircelo, non le opinioni.
Il presidente è preoccupato per i corridori: li vede tristi, stressati. Ha parlato di sicurezza, velocità e radioline, problemi chiaramente d’attualità, ma non credo alla base dello stress. Quello è dato dalle pressioni di una stagione interminabile, un calendario folle, corse sempre più esigenti per esigenze di spettacolo e per un regolamento non certo fatto da me, che dispensa punti a mazzi e investimenti da parte dei team sempre più importanti che portano ad uno stress globale e generalizzato. Non solo i corridori sono sulla graticola, ma anche tutti gli staff, dai meccanici all’alimentarista, dallo staff medico ai direttori sportivi e via elencando.
Oggi non esistono più corse d’allenamento, oggi si corre alla morte sempre, senza pause. Altro che ai miei tempi… A quei tempi, tolte le classiche monumento, si correva alla morte solo nel finale. Oggi, per via anche delle dirette integrali in tutte le corse teletrasmesse, si va a tutta fin dal chilometro zero. Le medie sono lì a testimoniarlo: si va più forte e di continuo. Senza sosta. Alla ricerca di questi dannati punti che condizionano il 95% delle corse.
C’è esasperazione: e come non potrebbe esserci se mediamente una squadra di massima serie costa 25 milioni di euro. Per queste somme esigono risultati, ma lo sport non si fa con i se e i ma, non si fa con i mental coach – seppur importanti – ma con i corridori buoni, che ce ne sono pochi. Tu hai un bel dire che è una questione di testa, di volontà, di cuore e di momenti, ma poi ti trovi tra i pedali Pogacar e Evenepoel, Van der Poel e Pedersen, Vingegaard Van Aert e Isaac Del Toro, e le parole si dissolvono nel tempo di uno scatto.
I corridori sono tristi e stressati, ma tanto felici non sono neanche quelle società e quei team leader che investono e gestiscono cifre da capogiro per vincere cinque gare all’anno. Sarò ripetitivo presidente, ma credo che vada rivisto con urgenza il modello ciclismo, il calendario, l’assegnazione dei punti e le classifiche. Auspico anche la riduzione delle squadre di vertice, per dare ossigeno al “ceto medio” di in ciclismo che si sta impoverendo. Diamo la possibilità di tornare a praticare attività sostenibile da 5/10/15 milioni di euro a stagione. Con queste cifre gli sponsor metterebbero in conto anche il fatto di raccogliere pochi risultati, accontentandosi di un ritorno di immagine che il ciclismo riesce ancora a garantire. Ma se gli investimenti vogliamo che siano tre volte superiori, caro presidente, lo stress fa parte del gioco e oltre agli occhi spenti e i sorrisi serrati dei corridori andrebbero guardati anche quelli di chi investe e sta pensando di togliere il disturbo.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.