
Spiace, è sempre doloroso staccare la spina, ma a un certo punto il coraggio bisogna trovarlo. La domanda è pesante ed elementare: che senso ha tenerlo in vita così? Diventa accanimento terapeutico, diventa crudeltà. Per chi l'ha conosciuto nel pieno della sua vitalità, quando è nato e cresciuto nel nome di Sergio Zavoli, è tremendo ritrovarselo a fine corsa in queste condizioni. Non lo si può guardare, ti prende la malinconia. Basta, per carità: staccate la spina al “Processo”. O almeno, se non avete il coraggio, cambiategli nome. Basterebbe una definizione del tipo “Le interviste del dopocorsa”: più chiara e più onesta. Più che altro corrispondente alla natura di questa roba qua. Quanto meno, rispetterebbe come merita la gloria del “Processo alla tappa”, che davvero processava, con un sacco di imputati, un sacco di piemme, un sacco di difensori, fino alla sentenza finale, inappellabile, del pubblico. Adesso, è solo un “Processo di decomposizione”.
Odissea nello strazio. Il conduttore Alessandro Fabretti, voto 10 solo alle giacchette dandy, ha vestito chiaramente i panni di Pangloss, il tutore del Candido di Voltaire, messo lì dal grande scrittore-pensatore per rappresentare la teoria del nemico Leibniz, secondo il quale viviamo sempre e comunque nel migliore dei mondi possibili. Fabretti è il Pangloss del Giro: dopo aver visto e rivisto Zavoli, ha imparato alla perfezione come non si fa. Tanto il pioniere Rai fungeva da stimolatore, buttando lì anche diabolicamente temi e fatti da discutere, in sostanza facendo il dinamitardo del dibattito, tanto Fabretti prende lo stipendio e i complimenti dei padroni per dire sempre e comunque grande tappa, grande Giro. Dibattito, discussione, dissenso, critica? Soffocati in culla. Sterminati sul nascere.
A totale garanzia che comunque niente sfugga a questa linea dell'idillio a prescindere, ecco la scelta degli opinionisti: Davide Cassani e Daniele Bennati. Cominciano entrambi per Da, Davide e Daniele, dev'essere questo il criterio chirurgico che ha portato alla loro scelta: messi assieme rappresentano un chiaro ritorno al Da-Daismo, corrente che sublimava il nulla. Cassani potrebbe anche dire qualcosa di suo, un minimo di giudizio, difatti viene utilizzato pochissimo dal prudente Pangloss. Si vede chiaramente che Pangloss predilige l'altro, il suo cocco, il perfetto prototipo dell'opinionista cui puoi chiedere tutto, anche una donazione di sangue, mai un'opinione. Grandiosa la puntata sulla tappa più bella del Giro, l'unica degna del nome, grazie alle Strade Bianche: il tema del possibile dualismo Del Toro-Ayuso viene affrontato nel modo più piatto e ortodosso, da registro notarile, ti dicono sì che per la Uae potrebbe diventare un problema, ti dicono che secondo il ciclismo classico l'attacco di Del Toro non è logico, ti dicono anche che però nel ciclismo moderno è tutto diverso, insomma ti dicono tutto quello che ogni buon tifoso sa già meglio di loro, ma dirci chiaramente e nettamente da che parte stanno, che cosa farebbero, chi è promosso e chi è bocciato, anzi, sarebbe un “Processo”, chi è assolto e chi è condannato, manco per sogno. Prudenza, ignavia, accidia: la loro unica missione è non creare problemi e non farsi nemici. Hai visto mai che poi magari qualcuno dall'alto ti fa una telefonata antipatica...
Il clima, così, è inesorabilmente stanco, bolso, moscio. Cloroformio in purezza. Si può reggere soltanto in un modo: aspettando il collegamento per le interviste ai corridori e ai tecnici, dal retropalco o dai pullman, quelle sì fasi commestibili e interessanti. Peccato che non c'entrino nulla con un “Processo alla tappa”, con un processo qualsiasi.
Quello, ormai, è solo un malinconico ricordo di tempi gloriosi. Non perchè siano lontani, ma perchè tempi vivaci, mossi, freschi. Invito tutti a fare una prova: vediamoci una puntata di Zavoli con Taccone, Zandegù, Ormezzano, eccetera eccetera. Poi vediamoci questa trimurti di tisane per l'insonnia. Alla fine ditemi chi è vecchio e chi è giovane.