DIECI FACCE DA TOUR

PROFESSIONISTI | 29/08/2020 | 08:10
di Angelo Costa

E’ un Tour anomalo: oltre che nella data, nella forma. Tamponi per tutto il seguito, giornalisti compresi, organici dei team ristretti a trenta persone, niente trasferimenti in aereo, mascherine obbligatorie e distanziamento (almeno un paio di metri per le interviste), addio alla consegna delle maglie e soprattutto ai baci delle miss sul palco. E, nel caso di due corridori positivi all’interno della squadra, l’intero team se ne va a casa. Prima grande corsa a tappe dopo la ripartenza, quella francese vuol evitare qualsiasi rischio: con l’avvicinarsi della partenza da Nizza, ha alzato il tiro delle precauzioni, disegnando norme ancora più restrittive.


E’ un Tour anomalo anche nel disegno, che attraversa la Francia dalla cintola in giù: tanta montagna, fin dalla seconda tappa, e una sola crono, quella di 36 chilometri che nel finale si arrampica a La Planche des Belle Filles, salita cara a Nibali, Aru e pure a Ciccone che lo scorso anno vi ha vestito la maglia gialla, ultimo italiano a riuscirci. Anomala è stata anche la rivoluzione della squadra che ha vinto sette delle ultime otto edizioni, la Ineos, nell’occasione targata Grenadier per motivi commerciali: sia Froome, vincitore di quattro edizioni, che Thomas, impostosi due anni fa, guarderanno la corsa in tv. In mezzo a tante anomalie, ci sta pure che dopo 35 anni torni a vincere un francese (Hinault, l’ultimo, nell’85).


Non è anomala, ma ormai tradizionale, la ridotta partecipazione italiana: una quindicina in tutto i nostri, con Nizzolo a caccia della prima maglia gialla, con Aru e Pozzovivo a coltivare sogni di un piazzamento in classifica. Ecco le dieci facce che più di tutti proveranno ad entrare nell’albo d’oro.

Egan Bernal. Vince perchè gli sono bastate due edizioni per riuscirci, perchè ha capito che conquistare questa corsa aumenta la voglia di ripetersi, perché in squadra ha una concorrenza ridotta al debuttante Carapaz. Non vince perché non sempre ti va tutto bene come un anno fa.

Romain Bardet. Vince perchè è il francese che di recente è andato più vicino a farlo, perchè non può permettersi di sbagliare due edizioni in fila, perchè prima o poi il suo anno arriva. Non vince perché rispetto ai rivali ha una squadra meno solida.

Tom Dumoulin. Vince perché è un corridore completo che va forte ovunque, perché ha una bacheca meno ricca di quanto meriti, perché ha un conto aperto con la buona sorte. Non vince perché strada facendo può cambiar ruolo e diventare la spalla di Roglic.

Mikel Landa. Vince perché finalmente si presenta da leader e non da alternativa, perché in salita è uno dei più forti in assoluto, perché perfino la crono gli strizza l’occhio. Non vince perché una giornata storta riesce sempre a trovarla.

Bauke Mollema. Vince perché è più affidabile del compagno Porte, perché corre sempre in prima classe, perché lo attende un salto di qualità meno impegnativo rispetto ad altri, tipo Alaphilippe. Non vince perché correre per il sesto posto è più facile che farlo per il podio.

Thibaut Pinot. Vince perché si presenta senza aver sprecato troppe energie, perché si sente pronto come desiderava, perché prima o poi la malasorte lascerà in pace anche lui. Non vince perché al momento buono un intoppo lo trova sempre.

Tadej Pogacar. Vince perché come Bernal ha l’aurea da predestinato, perché non c’è terreno che gli faccia paura, perché il talento non guarda in faccia l’età. Non vince perché il Tour è un animale difficile da domare per chi è esperto, figuriamoci per un debuttante.

Nairo Quintana. Vince perché è uno dei più esperti nelle corse a tappe, perché cambiando squadra ha ritrovato le motivazioni giuste, perché tre podi al Tour non arrivano per caso. Non vince perché l’incidente stradale del mese scorso gli ha tolto qualcosa.

Primoz Roglic. Vince perché è fatto per le corse a tappe, perché ha già conquistato un grande giro, perché può contare su una delle squadre più forti. Non vince perché dopo la caduta al Delfinato non è al top come bisogna essere fin dalle prime tappe.

Rigoberto Uran. Vince perché punta tutto sulla Francia, perché c’è andato a un passo dal riuscirci tre stagioni fa, perché uno che si piazza sempre prima o poi il bersaglio lo centra. Non vince perché rispetto a molti avversari gli manca sempre un centesimo per fare un euro.

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