L'ORA DEL PASTO. IL VIAGGIO DEL CHE

STORIA | 03/05/2020 | 07:35
di Marco Pastonesi

 


Telaio da città, manubrio da corsa, sella con le molle, pedali con le gabbiette, parafanghi rossi e portapacchi nero, campanello manuale, luci a dinamo. Sotto il movimento centrale, un “cucciolo”, un motorino. E’ la bicicletta con cui Ernesto “Che” Guevara partì il 1° gennaio 1950, da solo, alla scoperta dell’Argentina. Quattromila, forse quattromilacinquecento chilometri da Buenos Aires a Rosario e Cordoba fino a San Miguel de Tucuman e ancora più a nord, a San Salvador de Jujuy, quasi al confine con la Bolivia, e poi indietro.


La bicicletta si trova nel museo dedicato a “Che” Guevara ad Alta Gracia, la cittadina nella provincia di Cordoba dove la famiglia Guevara de la Serna si era trasferita anche per combattere, in un clima più secco, l’asma del piccolo Ernesto. E il museo è proprio nella casa della famiglia Guevara de la Serna: il giardino, il patio, le camere da letto, il bagno, la cucina, i libri dell’infanzia (c’è anche “Cuore” di De Amicis) e le fotografie dell’adolescenza (comprese quelle della sua squadra di rugby), la bicicletta e anche la motocicletta (la “Poderosa II”, la potente, una Norton 500, quella dei “Diari della motocicletta”), fino alla terra raccolta vicino al cadavere, oggi conservato a Cuba.

“Che” Guevara cicloturista aveva già qualcosa di eroico: un berretto per proteggersi dal sole (gennaio, a quella latitudine, è un mese estivo), gli occhiali da sole (per trattenere la polvere), il giaccone – usatissimo – di pelle, un copertone a tracolla come se fosse stato il Diavolo Rosso o la Locomotiva Umana, le mollette per impedire ai pantaloni di finire nella catena o nei raggi o nel motorino. E ancora: l’orologio al polso e una torcia in tasca, una borsa legata sul portapacchi posteriore, altre due a portata di mano. Nella foto-ricordo, il giovane “Che” mostra uno sguardo concentrato, forse un po’ preoccupato.

Ma il viaggio sarà felice. E importante. Perché da allora, come capita a tanti, se non a tutti quelli che si mettono “on the road”, il viaggio lo aiuterà a guardare e vedere (“La mia casa continuerà a viaggiare su due gambe e i miei sogni non avranno frontiere”), a chiedersi e capire (“Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia, commessa contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo”), a schierarsi e lottare (“Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso”).

 

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