
Vi scriveva massime: “Non sciupare il bene che hai con il desiderio di quello che non hai”. Vi annotava autori e titoli: “Pirandello: Così è se vi pare”, aggiungendo un punto esclamativo. Vi elencava scrittori: “Campanile, Pratolini, Pasolini, Vergani, Gatto, Buzzati, Ortese, Montanelli, Malaparte, Hack”. Vi segnava compleanni: quello di Silvia, quello di Milvia. E vi riportava resoconti di corse e giudizi su corridori. Erano le sue agende.
Le agende di Alfredo Martini appaiono nella tesi di laurea con cui Dario Baldi ha concluso il corso triennale in Scienze Politiche all’Università di Firenze: “Ciclismo e storia d’Italia: la figura di Alfredo Martini (1921-2014)”, che Baldi mi ha regalato come segno di appartenenza a un popolo – quello del ciclismo in generale, quello di Martini in particolare -, un privilegio di cui non si potrà mai essere abbastanza consapevoli e grati.
Baldi traccia la storia di Martini passando dalla prima bicicletta alle prime vittorie, dagli anni come professionista a quelli come direttore sportivo e commissario tecnico, indagando soprattutto sui Mondiali, fino al passaggio di consegne con Franco Ballerini. Una lunga, valorosa, preziosa traiettoria umana. Dove la semplicità si sposa con il rigore, la saggezza con la scienza, la storia con la poesia. Come a Varese 2008, quando Alfredo recitò – a memoria – “La sposa infedele” di Federico Garcia Lorca per celebrare il trionfo di Alessandro Ballan. L’intera delegazione azzurra rimase attonita, sbalordita, estasiata a quelle parole pronunciate con una leggerezza eterna.
Le agende erano il vangelo secondo Alfredo. Ci sono aforismi: “Ciclismo: un esercizio che esalta chi lo esercita”. Ci sono principi: “Lo sport ha la capacità insostituibile di unire le persone, ben al di là delle differenze etniche (razza), religiose o sociali. Lo sport conduce sempre sul cammino della pace”. Ci sono precisazioni: “Moser è caduto (d’altronde come altri)”. Ci sono spiegazioni: “Coloro che hanno abbandonato, prima di farlo hanno dato per la squadra tutta la loro collaborazione possibile”. Ci sono confessioni: “Abbiamo perso il Mondiale (quello di Praga nel 1981, ndr) per 5 cm! Se Saronni avesse impostato lo sprint con le mani nel fondo del manubrio anziché sulle leve dei freni, di certo saremmo rientrati in patria con la maglia iridata… Altro sbaglio: quello di andare su Baronchelli e Millar. Baronchelli era più veloce dello scozzese… Inoltre sulla ruota di Saronni avrebbe dovuto esserci Gavazzi, com’era stato concordato nel finale fra i due”. Ci sono rivelazioni: come quella copiata da un articolo di Dante Ronchi su “Stadio”, in cui si progettava “una nuova squadra per i disoccupati”, nella lista figuravano “Colombo, D’Arcangelo, Fatato, Foresti, Fraccaro Mario, Maini, Miozzo, Morici, Parecchini, Pugliese, Tosoni e Rossi”, e che lui avrebbe “guidato” con la collaborazione della “Commissione tecnica presieduta da Vigna”. Ci sono anche dettagli che fanno sorridere: come per il Mondiale di San Cristobal nel 1977, alla voce “partiti”, Alfredo ha scritto “84” e aggiunto, fra parentesi, “circa”. E poi quella calligrafia, spesso in stampatello maiuscolo: precisa, pulita, elegante, degna di un monaco amanuense.
Martini frequentò solo le elementari, poi cominciò a lavorare. Ma continuò a studiare tutta la vita: leggeva, scopriva, imparava. Dai classici greci fino ai romanzieri americani. Così non c’è da meravigliarsi se in una delle sue agende compare questo brano: “Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, son dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato; che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui; che i giovani pretendono gli stessi diritti, la stessa considerazione dei vecchi, e questi, per non parere troppo severi, danno ragione ai giovani”. Platone, “Repubblica”, due millenni e mezzo fa.
Le parole di Martini erano semi, i suoi silenzi acqua.
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