
D come De Gendt. Nel senso di Thomas, belga di 32 anni. Corre per una squadra del suo Paese, la Lotto: nel suo caso, non uno sponsor, ma un verbo. E’ famoso per i suoi attacchi da lontano, con i quali ha fatto centro in tutti i grandi giri: tappe memorabili, perché quando vince lui c’è sempre qualcosa da ricordare. Si è imposto sullo Stelvio nell’unico Giro mutilato degli abbuoni, ha fatto centro al Tour nel giorno in cui Froome, danneggiato da una moto, salì un tratto del Ventoux correndo a piedi e il traguardo fu spostato per il forte vento: quando si muove lui, più che gli avversari a stare attentissimi sono gli storici. Dopo aver stupito tutti nel 2012, finendo terzo al Giro, si è calato in un’altra dimensione, chiudendo le corse a tappe puntualmente fra il 50esimo e il 70esimo posto: fra le varie fughe, gli riesce benissimo anche quella dal podio. Un anno fa si è inventato un’altra impresa, tornando in Belgio con Wellens il giorno dopo aver corso il Lombardia, un viaggio di mille chilometri in sei giorni: a chi gli ha chiesto se fosse stata dura, ha risposto che la vera sofferenza era stata non poter staccare l’amico. Oltre che in corsa, è uno che si muove molto sui social: su Twitter in questi giorni ha diffuso un filmato nel quale torna in camera dopo una tappa di 235 chilometri procedendo a quattro zampe nei corridoi dell’albergo, anche in questo caso dopo aver seminato i compagni. E sempre con un cinguettìo si è rivolto nei mesi scorsi ai suoi tifosi, chiedendo loro di scegliere i grandi giri nei quali avrebbero voluto vederlo: gli è andata male, più di metà dei partecipanti ha votato per averlo al via in tutti e tre. Per questo la sua squadra ha deciso di mettere la sua gigantografia sul retro del pullman, scelta che costringe l’autista a guidare con un occhio allo specchietto retrovisore, perché conosce bene De Gendt e non si fida: sa bene che, anche da lì, è capace di scattare e andare in fuga.
G come galleria del vento. Nel senso di struttura per lo studio dell’aerodinamica. E’ il punto di passaggio obbligatorio (Ppo) di tutti i team durante l’inverno: vanno lì per testare i materiali, per provare le posizioni degli atleti sulla bici, per studiare il vestiario di meccanici e massaggiatori in base alle temperature delle corse. Qualcuno persino per sistemare l’acconciatura. Sono di tre tipi (le gallerie, non le acconciature): le supersoniche le frequentano i velocisti, quelle a ciclo aperto i cronoman, quelle a ciclo chiuso chi non vince mai. Non è adatta a tutti: non infrequenti i casi di ciclisti che, soffrendo di cervicale, chiedono di sospendere i test perché c’è troppa corrente. Propone vari tipi di vento: i team in crisi la frequentano per verificare la loro tenuta all’aria pesante. Ne esiste una anche per chi ha problemi di digestione: è l’unica dove non c’è mai la fila. E pure quella per chi soffre di allergie: la galleria del Ventolin. Poi ce n’è una speciale per chi arriva a un passo dal successo e non lo coglie mai: non viene considerata galleria, ma tunnel. Tra le più sofisticate, ovviamente, c’è quella della McLaren, da dove escono i bolidi della velocità: il migliore da molto tempo in qua non è di F1, ma Vincenzo Nibali. Ignoto, invece, il luogo in cui viene studiata l’aerodinamica di un velocista spagnolo: si chiama Ventoso e pare faccia tutto in casa.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.