
In questo inizio anno è giunta la notizia della scomparsa di Remo Tamagni con il funerale celebrato ieri, a Lodi, 2 gennaio 2019, a Lodi, dove era nato il 2 aprile 1934.
E’ stato un velocista di rango, anche se, nel professionismo, non è riuscito a replicare i successi di rilievo ottenuti fra i dilettanti.
Lo ricordiamo con il suo concittadino, il professor Andrea Maietti, scrittore, giornalista, docente di letteratura inglese, un riservato gentleman d’antico stampo, amico, studioso e biografo di Gianni Brera, ha narrato un gustoso episodio legato a Remo Tamagni nell’allegato articolo tratto da “embycicleta-quasi rete” del 9 aprile 2013 in occasione della scomparsa di Miguel Poblet in cui Remo Tamagni “anticipa”, con notevole presenza di spirito, la sua scomparsa per trarsi d’impaccio da una situazione contingente, casuale, pericolosa assai, in cui si era imbattuto mentre pedalava.
Un’altra cannonata al fortino di Alamo. Sabato 6 Aprile 2013. È caduto, a 85 anni, lo spagnolo Miguel Poblet Orriols. Grande velocista anomalo: piazzava lo scatto indifferentemente sul piano o in salita. Poteva battere, come fece, Van Steenbergen a Sanremo (1959) o insidiare Charley Gaul sui tornanti del Vesuvio (Giro 1956). L’ho saputo ieri mattina, in Piazza Maggiore a Lodi, incrociando il concittadino Remo Tamagni: «Poblet – mi ha detto con un leggero crollare del capo – l’è ‘ndài anca lü».
Remo Tamagni, classe 1934, gelataio di famiglia, ciclista professionista alla fine degli anni Cinquanta nella Legnano di Massignan e Battistini. Tra i pro è durato soltanto un paio d’anni. Quando si è accorto che non poteva più vincere come tra i dilettanti, ha appeso la bicicletta al chiodo ed è tornato a vendere gelati sul triciclo a forma di ferro da stiro. Era un velocista possente e per nulla evangelico. Se in fuga qualche compagno non tirava, minacciava di farlo deragliare dentro la prima roggia costeggiante il percorso.
Proprio alla Sanremo del ’59 ebbe l’unica occasione di giocare la carta della sua vita in bicicletta. Aveva tenuto le ruote sul Berta, ed era pronto a entrare nella mischia dei grandi: Poblet, Van Steenbergen, Van Looy. Alla fontana il gruppone era compatto e Remo era ai mozzi di Poblet, della cui ruota era andato a caccia negli ultimi chilometri, facendo sentire lo spuntone dei suoi gomiti e il colore del suo dialetto a una dozzina di avventurosi cacciatori come lui. Qualcuno in testa prese male l’ultima curva, mezzo gruppo alle spalle si arrotò. Remo vide il favorito Poblet schivare i capitombolati e stava per seguirlo nella traiettoria acrobatica, quando un malcagad de vün lo agganciò da dietro e lui pure fu stravaccato nel mucchio. Pavesi, l’avocatt in bicicletta, direttore sportivo della Legnano, lo consolò: «Sei giovane, potrai farne altre dieci di Sanremo». L’anno dopo gli organizzatori inserirono il Poggio che, rispetto alla Collada di San Colombano, era una sorta di Mortirolo per i sogni proibiti del velocista Remo Tamagni da Lodi.
Tornato ai gelati, Remo non ha mai rinunciato a fare il cicloturista. Ancor oggi, a quasi ottant’anni, sgamba per sessanta/ settanta chilometri al giorno, su e giù per le strade della Bassa. Qualche anno fa si era fermato a un bar tra Sant’Angelo e Pavia: «Una minerale frésca, non zelada, me racumandi!». Il barista, un omone più o meno dell’età di Remo: «Ah, lei è stato corridore… ed è di Lodi, per caso?» «Per caso….», disse Remo. «Anch’io ho corso in gioventù – disse il barista -: dilettanti. Ho vinto anche qualche corsa. Ne avrei vinta una in più, se un certo giorno non fossi arrivato in volata con un certo Remo Tamagni di Lodi. Un pirla di uno. Mi ha fatto spellare un gomito contro un muro. Guardi, se dovessi rivederlo, ancor oggi, dopo cinquant’anni, la vede questa bottiglia? ( e librò in alto il vetro vuoto della minerale). Bene, non esiterei un momento a fracassargliela in testa. Ma mi dica, lei che è di Lodi, lo conosce questo Tamagni?». Remo che non ha paura del diavolo, misurò la stazza del barista, finì lentamente il suo bicchiere di minerale, si asciugò la bocca col dorso della mano: «L’è mort!», disse.
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