
Dopo tre tappe soltanto, subito la prima sclerata: «Non capisco perché nessuno abbia provato nulla». Accusa diretta e pesante alle tante squadre che senza interessi di classifica si girano dall'altra parte nelle tappe mosse da fuga, da tentativo, da attacco. Anche da spettacolo, certo, che non guasta.
Vorrei precisare: stavolta non è mia, che già da un po' ho lanciato l'allerta (almeno) arancione su un Giro corso di malavoglia dagli stranieri, salvo ovviamente Roglic e Ayuso che vogliono vincerlo. No, stavolta la sclerata è del capo, Mauro Vegni, il che non è un fatto da sottovalutare: non succede tanto spesso che il padrone di casa prenda a pesci in faccia gli ospiti, pubblicamente e platealmente. Dunque già solo questo spiega il clima e la pesantezza della situazione. Houston, abbiamo un problema: il Giro non gira. E' poco, è piccolo, è moscio.
Troppo presto per dirlo? Verissimo. Però attenzione, si può guardare anche in un altro modo, alla luce del famoso buongiorno che si vede dal mattino. Se l'andazzo dell'inizio è questo, oggigiorno nello sport si dice se “approcciano” con questa lena debosciata, figuriamoci andando avanti, a fatica e difficoltà crescenti.
Dirà Pangloss, l'ottimista a prescindere, sicuro di vivere sempre nel migliore dei mondi possibili: non ci sono ancora gli elementi per preoccuparsi, basta con il disfattismo, basta con questa posa snob di sparare sempre e comunque sul Giro. Naturalmente, giro il tutto a Vegni, destinatario principe e principale del messaggio, primo dei preoccupati.
E comunque, perchè non siano sempre i Pangloss a uscirne trionfalmente, a Vegni e al vegnismo bisogna pur concedere una prima radiografia che parla da sola: due tappe in linea facili e una crono breve, niente di che, proprio il minimo sindacale, eppure abbiamo già cento corridori oltre i dieci minuti di distacco e ottanta a più di venti. Dai, anche volendo vederla sempre rosea, non è una cosa seria. E' il segno che sono brocchi? Ma per piacere, oggigiorno il livello medio è altissimo, lo diciamo ogni tre per due: la verità è che corrono per dovere d'ufficio, faticano il meno possibile, hanno altro per la testa. E il Giro di certo non lo affrontano con occhi di tigre: lo subiscono e lo sopportano con una gnagnera deprimente. Prima ce ne rendiamo tutti conto, prima magari ci inventiamo qualche soluzione (ripeto la mia preferita: obbligare i primi venti del ranking mondiale a fare due grandi giri, non sempre gli stessi due, magari oliando la voglia con ingaggi e premi maggiorati).
Quanto a Vegni, molti qui in carovana dicono che ha fatto male a sbroccare. Che un direttore non fa volare gli stracci in pubblico, ma parla direttamente in separata sede con manager e corridori. Non è il modo, non è lo stile. Io però vorrei dire che certe volte arriva anche il momento di alzare la voce, soprattutto quando capisci che ti stanno prendendo per il naso. E qui siamo a questo punto.
Se abbia ragione o torto a sbroccare in piazza sinceramente è questione sua. Resta però inteso che Vegni dovrebbe anche guardare meglio, notando come dopo tutto il favorito Roglic stia facendo il suo e prima ancora come questo inizio ci abbia rivelato in pieno la grandezza di Pedersen, non un pisquano qualunque, ma un sontuoso uomo-jet che tiene benissimo anche nelle fasi sofferte del tracciato nervoso. Una vera e grande maglia rosa da prima fase del Giro, mica pizza e fichi.
Vegni, su col morale: prova a pensare se neanche Pedersen avesse preso sul serio il Giro. Prova a pensare se dei big non fosse venuto neppure Roglic. Prova a pensarci, magari la tentazione di prendere il gruppo contromano ti passa.