Paolo Marelli, per non dimenticare

| 09/03/2008 | 00:00
Quella che vi proponiamo è una storia di ciclismo. Non è una bella storia, perché manca un lieto fine, ma il nostro fine come del resto quello di questa famiglia comasca che il 2 ottobre del 2005 ha pianto la morte di un ragazzo, di un figlio e fratello di appena 18 anni, è di quelli buoni. Il 2 ottobre del 2005, durante una competizione ad Imbersago, è venuto a mancare Paolo Marelli, 18 anni, figlio di Roberto Marelli e di Margherita Cappelletti, fratello di Alessandro e Mattia. Era un ragazzo innamorato di ciclismo, che al ciclismo aveva dedicato gran parte del suo tempo. Non era un vincente, era un ragazzo come tanti, che sogna di poter diventare un giorno un grande corridore, anche se a lui bastava correre, mettersi il numero sulla schiena, far parte del gruppo e gettarsi nella mischia. Poi, in una giornata grigia e carica di pioggia, in una curva maligna, la caduta che gli ha fermato il cuore e che ha spezzato la vita di una famiglia che oggi cerca di sopravvivere nel ricordo di un figlio e un fratello. Perché scriviamo queste righe? Perché abbiamo deciso di dare voce a questa madre, la signora Margherita Cappelletti? Perché non è giusto che si dimentichi. Non è giusto che il mondo del ciclismo si volti dall’altra parte senza fare nulla con questa e altre famiglie. Non è giusto che tutto venga «liquidato» con un assegno di 36.151,98 euro. Non è civile che la famiglia ciclismo non pensi a tenersi vicino delle famiglie che per questo sport hanno sacrificato qualcosa di ben più importante di una bicicletta. Noi abbiamo raccolto la disperazione sussurrata, l’urlo strozzato di una madre che pretende di essere ascoltata e utile alla causa. Quale causa, vi chiederete voi? Quella di suo figlio e di quanti come suo figlio ci rimettono la vita o si vedono la vita sconvolta. Noi che abbiamo la fortuna di vivere questo sport con i semplici occhi della passione, non possiamo chiuderli. Abbiamo il dovere di dare una mano a chi ce la chiede. Per questo diamo spazio ad una madre e chiediamo al presidente della Federazione Ciclistica Italiana Renato Di Rocco, a quello Regionale Lombardo Oreste Casati, a quello provinciale Franco Bettoni di lavorare affinché possa essere costituita una Fondazione o quello che meglio ritengono giusto creare e che possa essere d’aiuto a quei ragazzi e a quelle famiglie che subiscono traumi di questa portata. Il nostro appello è quello di dare una mano a queste famiglie, riaccoglierle nella nostra comunità, in modo da coinvolgerle e fare in modo che loro stessi possano ancora essere utili alla causa del nostro sport. Una sorta di «Fondazione per i caduti sulla strada», che possa essere utile a chi si trova a dialogare con la morte e che possa essere utile ad uno sport che sulla strada rischia di morire. «Quello che ci addolora e ci rende la vita insopportabile e le notti insonni – ci dice mamma Margherita – è l’assoluta indifferenza. Paolo è morto per aver coltivato una passione per la bicicletta smisurata. Credo altresì che le responsabilità ci siano, anche se il procedimento giudiziario è stato chiuso con una semplice motivazione: “fatalità”. Ma quello che mi preme e preme alla mia famiglia è che venga curata meglio la formazione dei volontari e degli addetti ai lavori che hanno tra le mani questi ragazzi, per garantire loro la massima sicurezza». «Devono essere rivisti anche alcuni criteri di organizzazione delle gare, in modo tale da dare maggiore garanzia e sicurezza a tutti i partecipanti. Alcuni esempi? Prevedere un percorso alternativo meno insidioso qualora si verificassero delle complicazioni meteo; obbligare gli organizzatori a informarsi delle condizioni meteo; non lesinare con balle di fieno, materassi, barriere protettive dove è necessario; non lesinare con personale addetto e qualificato a tutelare gli incroci delle strade; istituire dei magazzini provinciali dove raccogliere e gestire il materiale necessario alla sicurezza. Un modo di cooperare, raccogliere materassi, protezioni varie e destinarle settimanalmente a quegli organizzatori che ne hanno bisogno; creare una giornata della memoria, una corsa, intitolata ai ragazzi che a questo sport hanno dedicato la vita, e che in quella giornata vengono onorati con una gara e così via…». «Devo riconoscere che il presidente Federale Di Rocco, immediatamente dopo il suo insediamento, ha provveduto a innalzare il massimale della polizza integrativa da 36.151 euro a 61.974, anche se la vita di un figlio, di un ragazzo, non ha prezzo e non può e non deve essere ridotta solo ad un semplice assegno». «Non è giusto considerare le famiglie vittime di un grave incidente o di un lutto, un fatto da liquidare e chiudere quanto prima. Voi non ci crederete, ma noi amiamo il ciclismo. Lo amiamo ancora, nonostante tutto. Ma il ciclismo se vuole essere uno sport davvero popolare e sensibile, deve farsi carico anche di quei “fratelli” che sono stati segnati profondamente da una disgrazia. So che non è facile, il mio non vuole essere né un rimprovero né tantomeno un’accusa. E’ solo un appello. Noi facciamo ancora parte della grande famiglia del ciclismo, e possiamo essere utili alla causa. Il ciclismo è da sempre sport individuale, che nasce però da un gioco di squadra. Noi vorremmo che fosse anche un po’ più famiglia». Per chi volesse inviare un messaggio alla famiglia Marelli: info@tuttobiciweb.it
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