Ivan Basso tra i bambini di strada dell'India

| 26/02/2008 | 00:00
PUNE (India), 26 febbraio 2008 - Pallavi è un’anima stretta in una maglietta bianca con la scritta "lucky" (fortunata), la gonna a scacchi e le ciabattine rosa. I suoi sette anni sembrano riassunti nei capelli neri a caschetto, tenuti su con una forcina, nelle gambe secche e livide, negli occhi profondi, lontani, irraggiungibili. Torna dal doposcuola. A piedi. Ad aspettarla c’è una piccola folla di bambini e vicini, più un uomo bianco, che con un sorriso cerca di nascondere l’imbarazzo, alto anche se si chiama Basso. Ivan Basso. Pallavi lo conosce, sa chi è: non il campione di ciclismo squalificato per l’Operacion Puerto fino al 24 ottobre, ma un campione di umanità. Perché è lui che, attraverso lei (e attraverso l’organizzazione Intervita), sostiene la sua piccola comunità. CATAPECCHIA - Basso non ha resistito alla tentazione: prima quella di conoscerla, non più solo in fotografia ma dal vero, dal vivo, di persona; poi quella di portarle un regalo, e il primo pensiero è stato una bicicletta. L’ha acquistata un’oretta prima, in un emporio battezzato Saibaba: una bici per Pallavi, già che ci siamo una anche per la sorellina, già che ci siamo altre quattro per altri quattro bambini sostenuti da Intervita, già che ci siamo a questo punto Basso è stato stoppato altrimenti avrebbe riempito di bici l’intero "slum", quella catena di catapecchie, baracche, capanne dove sopravvivono i poveri di Pune e dell’India. Perché Pallavi abita in una catapecchia: una stanza con una porta e una finestra, un letto e un tavolo, senza il bagno però con la tv. E sono in sei: i due genitori e i quattro figli. In — a occhio — 16 metri quadrati. MUCCHE - Vento caldo, sole implacabile, mosche eccitate. Un pozzo. Terra, o quello che si deposita nei secoli dei secoli - polvere, arbusti, avanzi, cenere — e poi si sbriciola, si frantuma, si setaccia, si ricicla, si deposita fino alla sfinimento, all’esaurimento, al calpestamento. In fondo, è una festa. Che Basso sarebbe venuto, si sapeva. Che avrebbe portato una bici, anzi due, anzi sei, no. I grandi sono vestiti a festa: le donne in sari, gli uomini con camicie gialle e colletti aperti ad alettoni, i piccoli in abitucci e vestitini ereditati, tramandati, consumati. Poi mucche sante, capre famigliari, gatti stremati, tutti pelle e ossa, tranne i cani, che sono zingari, nomadi, autarchici e autonomi, ma atletici. "Mi sono avvicinato a Intervita da tempo — racconta Basso —, ma recente è l’idea di diventarne testimone. Adesso ho più tempo. Mi serve per conoscere il mondo, non per pulirmi da colpe. Semmai mi aiuta a purificare la mia coscienza di uomo, non di corridore. Mi commuove, mi colpisce, mi arricchisce: dentro. E quando tornerò a fare il mio lavoro, raddoppierò il mio aiuto". Ormai, per lui, è una missione. STRADA - Solo ieri: prima la visita a una scuola per 650 bambini fra asilo ed elementari, poi a una scuola non formale per una trentina di bambini di strada, quindi a un centro dove si assistono 88 bambini e ragazzi con paralisi celebrale, tutto ideato e gestito da Intervita contando principalmente sulla raccolta fondi in Italia (per aiutare Intervita nei progetti in India e nel sud del mondo: sito Internet www.intervita.it o numero verde 848.883388). Infine l’incontro con Pallavi. "Temevo quello che avrei visto — confida Basso — ma la realtà ha superato qualsiasi immaginazione. La loro è una vita nata male, in salita, senza futuro. Ma dai bambini non si finisce mai di imparare. E nei loro occhi, nel loro sorriso, nei loro giochi fatti con il nulla nasce la speranza. Non possiamo abbandonarli. Soprattutto i bambini di strada". Ed è sul loro recupero che Intervita moltiplica i suoi sforzi, a Nashik. NIENTE - Tre giorni a respirare l’altra faccia del mondo, più andata e ritorno: il viaggio in India di Basso si concluderà a casa davanti ai figli, Domitilla, 5 anni, e Santiago, uno e mezzo. "Dirò che stavolta i regali li ho lasciati là, a bambini che potrebbero essere loro fratelli e sorelle, ma che per un destino ingiusto non hanno mai avuto niente". da gazzetta.it a firma Marco Pastonesi
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