Fois: la mia storia fra cocaina e depressione

| 14/09/2007 | 00:00
"E’ anche per colpa del ciclismo se sono ridotto così, ma senza ciclismo non so stare". Valentino Fois è seduto al tavolino di un bar nel centro di Bergamo. Pochi metri più in là c’è la redazione locale del "Giorno" nella quale lunedì sera l’ex corridore bergamasco si è introdotto per rubare due vecchi computer portatili. Una bravata che gli è costata una condanna a 100 giorni di reclusione, tramutati in una pena pecuniaria di 4 mila euro. Valentino era un talento e come tanti talenti si è fatto tentare dal diavolo doping, finendo poi schiacciato dagli "effetti collaterali". A vederlo ora, sembra il Fois di una decina di anni fa. Forse un po’ smagrito, ma elegantissimo. Giacca e cravatta, pantalone gessato, la faccia bella da sciupafemmine. Ma basta guardargli il sorriso forzato, gli occhi velati di tristezza, per capire che dentro quel vestito firmato c’è un ragazzo di quasi 34 anni che lotta con una sofferenza che lo sta devastando. Fois, partiamo dalla brutta storia del tentato furto. "Lunedì sono tornato a bere dopo tanto tempo e il cocktail con gli ansiolitici mi ha mandato in confusione. Sono entrato nell’ufficio, mi sono nascosto in bagno, poi ho cercato di scappare con i computer. E’ stata una cazzata, ma non ho fatto un’ora di carcere e ho trovato un giudice comprensivo". Lei è malato? "Ho problemi di depressione e ansia, sono in cura in un centro tossicologico di Parma". Da che cosa sono originati i suoi problemi? "Dalla squalifica di tre anni per doping presa nel 2002, quando correvo nella Mercatone Uno con Pantani". Nel ’98 era già stato fermato per un anno per essere stato trovato positivo al Giro di Svizzera e al Giro di Polonia. Che sostanze prendeva? "Prendevo, anzi, mi davano il DHEA, che serve a stimolare la produzione di testosterone endogeno. Eppoi... E’ inutile fare l’elenco. Prendevo quello che prendevano tutti. E se qualcuno nega, è bugiardo. Dovevamo scendere a compromessi". Eppure non ne aveva bisogno. E’ diventato professionista nel ’96 ed era considerato un ottimo scalatore. "Avevo appena vinto il tricolore dilettanti e dominato il Giro della Valle d’Aosta. Avevo fatto grandi cose anche nella Mtb. Sono arrivato al professionismo pulito. Pulitissimo. Vincevo perché ero forte. Ero, e mi sentivo, il numero uno al mondo". Allora perché ha ceduto alla tentazione del doping? "Il mondo del ciclismo, fino allo scandalo Festina del ’98, era una schifezza. Gestivano tutto medici e direttori sportivi. Poi le cose sono un po’ migliorate, ma non metterei la mano sul fuoco su alcun corridore di oggi. Chi vince, una settimana dopo è già nella polvere". C’è qualcuno del ciclismo che l’ha aiutata? "Soltanto uno. E’ un mondo falso e ipocrita. No, preferisco restare con i miei problemi piuttosto che avere a che fare con persone finte. Ho la mia famiglia e un amico vero, Pavel Tonkov, vincitore del Giro d’Italia ’96. Abito da lui a Madrid per sei mesi l’anno, fa il procuratore e forse mi aiuterà a tornare a correre. Altrimenti lavorerò nell’albergo che aprirà a Cordoba". E lei vorrebbe tornare in quel ciclismo che considera causa dei suoi problemi? "Non ho mai smesso di allenarmi, 3-4 ore ogni giorno. Durante la squalifica ho partecipato anche ad alcune Granfondo, vincendone 14 su 16, poi mi hanno fatto sentire indesiderato anche lì. Mi mancano le corse". Ha preso altre droghe? "Ho provato la cocaina. Ma non sono tossicodipendente. Sono soltanto un ragazzo debole". Attualmente che cosa fa? "Non lavoro. Ma studio: filosofia, psicologia, so tutto delle religioni orientali". Li sa i pettegolezzi che girano sul suo conto? "Che sono stato l’amante di Inzaghi, che rifornivo di coca Vieri. Balle. Conoscevo Pippo e Bobo perché giocavano nell’Atalanta e frequentavamo gli stessi locali. Stop. Non li vedo né sento da anni". Non ha paura di fare la stessa fine di Pantani? "Ho vissuto da vicino il dramma di Marco e posso dire di non aver mai raggiunto il suo livello di disperazione". A un ragazzino che comincia a correre che consigli darebbe? "Di ragionare con la propria testa, senza farsi travolgere dal sistema. Io mi rimprovero di non aver dato il meglio nel mio lavoro, mi piacerebbe poter recuperare". da La Gazzetta dello Sport del 14 settembre a firma Roberto Pelucchi
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