Doping 1. Inchiesta del «Corriere dello Sport» per capire

| 06/07/2007 | 00:00
E’un altro periodo caldo per il doping. E’ l’occasione per conoscere il fenomeno da più prospettive, senza limitarci all’aspetto puramente sportivo. Inizia così un viaggio che ci porterà, in 4 puntate, a conoscerne gli effetti più drammatici. Partiamo allora oggi con la sua diffusione a livello sociale, per poi spiegare quali sono le rotte internazionali del doping. Faremo un’analisi dei fallimenti in cui sono incorse tutte le politiche di contrasto: dal doping libero ( nel wrestling e nello sport professionistico americano), a quello sotto controllo medico ( nei Paesi del blocco comunista prima della caduta del muro di Berlino), infine all’attuale strategia che, in campo sportivo, punta esclusivamente sui controlli di laboratorio. Infine, proporremo le prospettive future, come sia necessario un salto di qualità che permetta almeno di frenare un fenomeno così devastante. Le indagini. La procura del Coni lavora su “Oil for drug”: implicati atleti di vertice dilettanti, farmacisti, medici e infermieri I sequestri. Un giro d’affari di 650 milioni di euro l’anno Nel 2005 sono state 1562 le perquisizioni con 240 arresti. Il mercato. L’ormone della crescita è il più usato: soppianta l’Epo. La vendita cresce del 25% l’anno: meno della metà va ai malati. Sfileranno un centinaio di persone alla Procura antidoping del Coni. Almeno, questa è l’intenzione di Ettore Torri, ma difficilmente risponderanno tutte. Soprattutto i non tesserati, che sono la grande maggioranza. Oil for Drug, l’inchiesta esplosa in maniera clamorosa all’alba del 26 maggio 2004, è al centro del lavoro della Procura, ma sarebbe riduttivo, oltre che gravemente sbagliato, ragionare solo in termini sportivi. Perchè il doping è ormai una vera e propria piaga sociale, ed ha invaso le case di tutti, non limitandosi più ad essere un fenomeno per i campioni (o presunti tali). Se così fosse, il problema sarebbe di poco conto, e si limiterebbe all’aspetto dell’illecito sportivo: grave, ma circoscritto. In realtà quest’ottica miope ha portato alla situazione attuale, e solo negli anni più recenti si è presa coscienza di quel che il doping realmente è: un pericolo per la salute pubblica. Le stime più affidabili dicono che oggi ricorrono al doping oltre 15 milioni di persone nel mondo, almeno mezzo milione in Italia. Gran parte di uso e spaccio avviene nelle palestre. O il for drug è un’inchiesta che potremmo definire ”paradigmatica”, nel senso che ha tutte le caratteristiche del fenomeno nel suo complesso: conferma il collegamento tra sportivi di vertice e sportivi amatoriali; vede coinvolti personaggi legati alla criminalità organizzata; sono rappresentate tutte le categorie protagoniste (oltre agli atleti: medici, infermieri, spacciatori, dirigenti federali, forze dell’ordine); le sostanze dopanti utilizzate sono di ogni tipo; ci sono farmaci provenienti dai Paesi dell’Est; sono segnalati consistenti furti all’interno degli ospedali. Insomma, non c’è limite a nulla, neanche ai farmaci prodotti in maniera ” antica”, prima cioè dell’avvento dell’ingegneria genetica. A Trieste, perquisendo un ciclista ungherese, Bepto Zoldan, è stato trovato Gh ( ormone della crescita) di produzione lituana, ed estratto dall’ipofisi di cadaveri. Il pm Paolo Ferraro, che segue l’inchiesta da sempre, parlò subito di un «doping disperato » . Aveva appena ricevuto le risultanze del blitz che i carabinieri del Nas avevano effettuato in tutta Italia (in casi comuni, ospedali, in qualche albergo occupato dai corridori del Giro d’Italia). La somma finale fu agghiacciante: almeno 2000 i prodotti dopanti sequestrati. I Nas avevano effettuato 140 perquisizioni, 138 persone furono iscritte nel registro degli indagati. Dopo vari stralci, l’inchiesta madre ha portato, nel dicembre del 2005, a 34 richieste di rinvio a giudizio. Lì si è parecchio arenata, e solo a dicembre è in programma l’udienza preliminare. Scopriremo così a fine anno se ci sarà il processo ad uno dei personaggi-chiave dell’intera inchiesta, il dottor Carlo Santuccione, già squalificato in passato dalle autorità sportive per 2 anni. L’inchiesta sportiva è nata tre anni dopo. Gli atleti di punta coinvolti, come sappiamo, sono Danilo Di Luca (” figlioccio” di Santuccione), vincitore del Giro d’Italia, e Giuseppe Gibilisco, campione del mondo di salto con l’asta nel 2003. Insieme a Gibilisco c’era il martellista Vizzoni, insieme a Di Luca altri 14 corridori ( tra loro Alessio Galletti, morto in corsa qualche tempo dopo). C’ è da ricordare che Oil for drug nacque dopo la morte di un cicloturista. E sono sempre storie tragiche di questo genere che portano a operazioni di polizia. Non c’è città italiana che ne sia rimasta esente. Simbolici i nomi che gli inquirenti danno alle operazioni: Hulk ( Latina); Artificial Body (Bologna); Hercules (Vicenza); Golem (Santa Maria di Capua Vetere); Anabolik ( Ravenna); Body Pump ( Trento e Parma). Per capire l’ampiezza del fenomeno basta comunque affidarsi alle cifre ufficiali. Il 28 gennaio 2005, il comandante del Nas, Emilio Borghini, ha rivelato che sono state 900 mila contro le 10.000 del 2003 le confezioni di sostanze dopanti sequestrate, 115 le persone arrestate, 644 quelle denunciate ( contro le 273 dell’anno precedente). Il fenomeno è andato espandendosi se già un anno dopo saranno effettuate 1562 perquisizioni che porteranno a 240 arresti, 1563 persone denunciate e 1.064.918 confezioni di anabolizzanti se- questrate. Il giro d’affari tocca la cifra di 650 milioni di euro l’anno. La lotta al doping ha avuto un forte rilancio grazie all’approvazione, nel 2000, della legge 376 che però, secondo gli esperti, è ancora un po’ troppo indirizzata verso il doping dello sport di vertice, ed ha quindi bisogno di una revisione, soprattutto per quanto riguarda la lotta ai traffici. T ornando alle cifre ufficiali, è il caso di sottolineare quelle relative alla produzione delle sostanze dopanti. Si tratta, per lo più, di farmaci salvavita che vengono studiati con ben altri scopi. Per questo sono frequentissimi i furti in ospedale, ed i reparti più colpiti sono normalmente quelli di oncologia e di nefrologia. Il prodotto principe è ormai diventato definitivamente l’ormone della crescita, il Gh, che serve a curare il nanismo. Ha la capacità di soddisfare tutte le esigenze: aumenta la massa muscolare e quindi la potenza; ma è an- Sche in grado di far salire il livello di ematocrito ed emoglobina, risultando così adatto per gli sport di resistenza. Oltre che per la sua bontà, il Gh è appetito soprattutto perchè non è riscontrabile ai controlli antidoping . In realtà, c’è chi cerca di dire che ormai il metodo esiste, ma omette un particolare pietoso: è un test in grado di dimostrare l’eventuale assunzione di Gh solo nelle ultime 24 ore. i spiega così lo straordinario successo del Gh dal punto delle vendite, e l’altrettanto - ovviamente - clamoroso arricchimento delle Case farmaceutiche che lo producono. E’ diventato stranamente difficile - soprattutto in Italia - avere cifre recenti. Comunque, a fine 2000 l’Osservatorio Nazionale sui medicinali del Ministero della Sanità, analizzando 181 milioni di ricette, fece sapere che la crescita del Gh aumentava mediamente del 25% l’anno, passando dai 104 miliardi di lire del 1997 al 128 del 1998 ed ai 160 del 1999. Nei primi sei mesi del 2000 la cifra era già di 102 miliardi. Grazie al Gh la Casa farmaceutica Serono, che lo commercializzava col nome di Saizen, ha incassato nel solo 2002 124 milioni di dollari (l’8,7% delle vendite del gruppo). Lo stesso successo ha avuto l’eritropoietina, il cui consumo è però considerato in leggero calo negli ultimi anni. Cifre comunque rispettabili: dai 110 miliardi di lire del 1997 i è passati ai 150 del 1998 ai quasi 200 del 2000. Al di là delle cifre ufficiali, comunque, c’è una certezza: oltre metà della produzione mondiale di Epo e Gh non finisce ai malati, ma alle persone sane. A livello sportivo, il test capace di individuare l’Epo esiste dal 2000: ha portato ciclisti e maratoneti a riscoprire l’amata autotrasfusione, come negli anni Ottanta, quando l’epo non era ancora prodotta. L’autotrasfusione non è migliore dell’Epo, probabilmente anzi procura meno vantaggi dal punto di vista delle prestazioni, ma ha una particolarità: sfugge ai test antidoping , a differenza dell’epo (per il quale il metodo è comunque limitato: riesce a rintracciare la sostanza se è stata assunta nelle ultime 72-96 ore). da «Il Corriere dello Sport» del 5 luglio 2007 a firma Sergio Rizzo
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