Stanga:«Troppi certificati? Toglieteli, ma li ha voluti la Wada»

| 24/06/2007 | 00:00
Autocertificazioni con la quale ogni corridore dichiara di non avere procedimenti penali in corso, né da parte della magistratura ordinaria né tantomeno da quella sportiva; esame del sangue, delle urine, disponibilità a fornire il Dna e a pagare un anno del proprio stipendio se beccati con le mani nella marmellata; reperibilità 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno per effettuare esami a sorpresa. «Avanti di questo passo ai ciclisti metteranno anche il braccialetto elettronico, come per i delinquenti in libertà vigilata», dice tra il serio e il faceto Beppe Saronni, team manager della Lampre, la formazione capitanata da Damiano Cunego. Il ciclismo è in uno stato di emergenza totale. Troppi sospetti e troppi sospettati. Tre «non negativi» per l’Uci (Mayo, Petacchi e Piepoli: tutti con il certificato, lo spagnolo già scagionato, i due italiani già ascoltati dalla commissione medica dell’Uci, in attesa dell’ok dal laboratorio di Barcellona: se il salbutamolo è stato inalato tutto è a posto, se è stato iniettato scatta la squalifica); quattro i test effettuati dal Coni al Giro d’Italia che destano dubbi e perplessità (Di Luca, Mazzoleni, Riccò e Simoni). Per queste “anomalie” e per il problema dei “certificati” Petrucci, il capo dello sport italiano, ha scritto al numero uno del ciclismo mondiale, Pat Mc Quaid, chiedendo collaborazione: la lettera arriverà domani all’Uci, che sta anche lavorando su altri sette esami non chiarissimi e carichi di sospetti. Petrucci chiede collaborazione, gli organizzatori del Tour chiedono chiarezza, il mondo del ciclismo però non ci sta, ad incominciare da Gian Luigi Stanga, team manager della Milram, la formazione di Petacchi e Zabel. «I certificati sono troppi, destano sospetti? Bene, che li tolgano – dice con la consueta chiarezza il team manager bergamasco -. Ho letto la lettera di Petrucci, posso in parte anche condividerla, ma si dimentica di una cosa: i certificati non li ha voluti né il ciclismo né tantomeno i corridori, i manager o gli sponsor. Sono stati introdotti dalla Wada, l’agenzia mondiale dell’atidoping, con il bene placido dei comitati olimpici internazionali, tra i quali il Coni». Stanga non alza la voce, non fa la vittima né tatomeno del vittimismo, ma pone delle domande cercando di evidenziare alcune contraddizioni. «Vogliamo chiarezza? Ben venga, ma allora Petrucci e il suo Coni dica quanti sportivi praticano sport con i “certificati”. Dica quanti sono destinati al ciclismo e quanti alle altre discipline. Se dobbiamo passare per uno sport di malati vogliamo dei numeri e dei riferimenti». E ancora, su quei quattro esami che fanno tremare il Giro d’Italia. «Io so solo una cosa, che dopo tre settimane di corsa, al termine di una gara dura e micidiale come quella dello Zoncolan, è quasi normale che un atleta presenti degli esami per lo meno anomali. Sapete cosa significa sostenere certi sforzi?». Infine, un augurio: «Spero che una volta per tutte si stabilisca chi comanda? A chi spetta l’ultima parola: alla Federclismo, al Coni, alla Wada o all’Uci?». Dello stesso avviso il dottor Massimo Besnati, presidente dei medici del ciclismo. «Il problema dell’asma da sforzo è una realtà. I corridori sono soggetti alle allergie più di ogni altra persona, anche se le allergie stanno aumentando in maniera significativa anche tra la popolazione. I corridori sono sollecitati più di altri dalle allergie: la respirazione ad alti volumi per un tempo prolungato; l’attività all’aria aperta, con l’esposizione al polline, smog e inquinamento; le frequenti infezioni alle vie respiratorie superiori, con bronchiti e raffreddori: tutto ciò aumenta il rischio di sviluppo dell’asma da sforzo, rispetto a chi lavora in ufficio o fa sport al chiuso». da «Il Giornale» del 24 giugno 2004 a firma Pier Augusto Stagi
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