Una cena di corridori. Gianni Bugno domanda a Giancarlo Ferretti quale, di tutti i corridori che ha conosciuto, fosse il più forte. Ferretti, a sorpresa, indica uno lì che, agli occhi di Bugno, non dice nulla. “E chi è?”. “E’ uno che in pianura non lo staccavi, in salita era sempre l’ultimo a mollare, in discesa ti veniva a prendere, e in volata non lo battevi”. Bugno rimane senza parole. Ferretti ne ha altre sei-sette: “Però con la testa non c’era”.
Nome e cognome: “Adriano Baldini”. Parente di…? “Nessuna parentela”. Anagrafe? “Nato il 24 agosto 1949, a Fusignano”. La Fusignano di Arrigo Sacchi? “Ero suo amico, collaboravo quando allenava il Fusignano, fornivo lo shampoo e in cambio facevo il guardalinee, finché Sacchi non venne esonerato”. Studi? “Quinta elementare, poi qualche lavoro secondario, quindi 39 anni agente di commercio Wella, per parrucchieri”. E la bici? “La bici è un romanzo”. Chissà se Ferretti lo conosceva, allora, chissà se a Bugno interessa, adesso.
Primo capitolo: “La prima bici una Rivola, da corsa, verde, avevo 15 anni. La prima squadra il Pedale Fusignanese, eravamo in cinque-sei, avevamo una maglia bianca, nera e arancione, l’allenatore – Federici – era così appassionato che faceva anche lo sponsor, metà dello stipendio andava alla famiglia, l’altra metà alla squadra. La prima corsa subito, a Bologna, avevo 15 anni, arrivai con i primi. La prima vittoria a Cotignola, la Coppa Caduti del Senio, per distacco”.
Secondo capitolo: “Vincevo. Una volta, in fuga per un traguardo volante, insistemmo, c’erano quattro salite, sull’ultima venni staccato da Pancaldi, poi lo raggiunsi e in volata lo battei, lui non se l’aspettava, pensava che fossi morto. Un’altra volta, a Coriano, 90 km di fuga, con gli scalatori che mi inseguivano, invano. Un’altra volta ancora, a Pavullo nel Frignano, con tutta la Gris 2000 che mi dava la caccia, volata a due con Dallai, vincente. Un’altra volta, e poi basta, a Ferrara, volata generale, in 150, vinsi per distacco. Un’altra volta, e poi basta veramente, Vito Ortelli voleva vedermi vincere in volata, perché mi aveva preparato una bici speciale, da strada ma con misure da pista per facilitarmi nelle curve, riunione notturna, prima la velocità, e la vinsi, poi l’individuale, ero in fuga da solo quando arrivò Ortelli, allora alla campana mi fermai, aspettai il gruppo, feci la volata e la vinsi. Vincevo su strada e anche in pista: chilometro, individuale, inseguimento a squadre, azzurro, avrei dovuto fare l’Olimpiade di Monaco, e invece”.
Terzo capitolo: “Caddi al Vigorelli, presi un’infezione alla gamba, andai a correre il Giro del Friuli, mi venne l’appendicite, riuscii ancora a entrare nella compagnia atleti, ma ormai ero finito. E andai a lavorare. Però il ciclismo è un mondo che, se lo conosci, non lo abbandoni più. Da corridore a direttore di corsa, assistente alle premiazioni per le miss, autista, anche adesso, al Giro d’Italia Under 23, con il team di Orfeo Casolari. Perché il bello della bici è l’aria pura, perché il bello del ciclismo è la sua popolarità, perché il bello del pedalare è che, dalle nostre parti, prima ti mettevano in bici e poi ti davano un pallone”.
Quarto capitolo: “Mai fatto la vita da atleta. Ero un patacca: se c’era da andare a fare baracca, andavo. Una volta ballai fino alle 2 di notte, dormii un paio di ore, mio padre mi accompagnò alla corsa, la partenza era alle 9, finii terzo perché due erano scappati, mio padre si imbufalì pensando che, se avessi dormito un altro paio di ore in più, avrei vinto anche quella. Ma non mi pento di nulla, perché se potessi, se avessi, se tornassi…, rifarei tutto quello che ho fatto, altrimenti non avrei mai avuto le stesse soddisfazioni. La vita è così, siamo qui in prestito, non conosciamo la data di scadenza, meglio prendersi le cose belle e lasciare agli altri quelle brutte: gelosie, invidie, ingordigia”.
Quinto capitolo: “Correre, trombare e mangiare: era la mia filosofia. Correre, da tempo non corro più. Rimangono trombare e mangiare. E siccome trombo poco, per compensare mangio molto. In altre parole: dalla gnocca allo gnocco fritto. Io, davanti a un piatto di cappelletti, sono capace di commuovermi”.
E se Bugno domandasse quale, di tutti i corridori che ha conosciuto, fosse il più forte? “Oscar Zamagni, della Rinascita Ravenna, completo, una forza della natura, peccato che smise presto”. Dai. “Ce n’era un altro, che andava come una moto. Chi è quel pazzo là davanti?, chiesi, sbalordito. Uno della Bottegone, mi risposero, un certo Francesco Moser”.
Marco Pastonesi
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