
Era il 1985 quando per l’ultima volta un corridore francese ha vinto il Tour de France. Si tratta di Bernard Hinault, uno dei corridori più forti della storia del ciclismo. Hinault non è mai stato uomo che ha guardato ai record: il campione francese, pensa che Tadej Pogacar (vincitore nel 2020, 2021 e 2024) presto possa eguagliare o addirittura superi il suo record di cinque vittorie, che detiene insieme a Jacques Anquetil, al belga Eddy Merckx e allo spagnolo Miguel Indurain. Ma perdere il primato per lui non è un problema.
«Quando vinsi l’ultima volta, nessuno avrebbe pensato ad una carenza di vittorie francesi, questo perché i francesi hanno sempre vinto il Tour a intervalli regolari – ha raccontato Hinault in uno speciale televisivo dedicato al Tour - È un'osservazione terribile da fare, ma è inevitabile: non ci sono più grandi campioni in Francia in grado di vincere il Tour».
Per Hinault in Francia si lavora per trovare nuovi campioni, ma al momento, c’è da accontentarsi di bravi corridori, ma non di fenomeni. «Non abbiamo più la moto di grossa cilindrata, quella da 1000 cc che può fare la differenza, abbiamo solo moto da 750 cc. Stanno senza dubbio facendo il necessario per arrivarci, ma non abbiamo i risultati e soprattutto al momento non abbiamo nessuna possibilità di vincere il Tour».
Il ciclismo è cambiato tantissimo da quel 1985 e gli effetti della globalizzazione sono sotto gli occhi di tutti.
«È stato un insieme di piccoli dettagli e poi il ciclismo ha iniziato a globalizzarsi. Non ci sono più solo belgi, italiani e spagnoli a dominare il ciclismo e sono iniziati ad arrivare i colombiani, seguiti dagli americani. Poi è stato il turno degli australiani e degli inglesi; provenivano da ogni angolo del pianeta. Abbiamo dovuto dividerci ancora di più la torta e non siamo riusciti a difendere la nostra parte».
Secondo il cinque volte vincitore del Tour de France, deve cambiare il modo di porsi dei corridori francesi, che non devono più puntare ad un piazzamento, ma devono imparare a puntare alla vittoria.
«Quando i francesi affrontano la concorrenza di Pogácar, Vingegaard o Evenepoel, in cosa possono sperare? Nulla, ovviamente. Ma chi li obbliga a insistere sul Tour de France? Ci sono altre corse. Non capisco i corridori che puntano ad un piazzamento nei primi 10 e poi dicono di avere buone gambe. Per me, le buone gambe sono fatte per vincere. Il quarto posto di David Gaudu al Tour del 2022 è stato trattato come se avesse vinto, o quasi. Di certo non lo ha aiutato a puntare più in alto».
Bernard Hinault pensa che per essere un grande campione, non sia necessario vincere per forza un grande Giro o solo il Tour de France e come esempio cita Julian Alaphilippe, che avrebbe dovuto essere fonte di ispirazione per tutti i francesi.
«Julian Alaphilippe poteva essere un esempio per molti corridori francesi. Ha un curriculum che comprende il doppio titolo di campione del mondo nel 2020 e nel 2021 e tante altre corse, questo perché non si è mai concentrato esclusivamente sul Tour. Abbiamo corridori molto performanti, capaci di vincere classiche come la Liegi-Bastogne-Liegi o il Giro di Lombardia e l'Amstel. Perché allora limitarli costringendoli a puntare a un piazzamento tra i primi 10 al Tour?».
Nel 1984 Hinault, soprannominato Le Blaireau, ovvero il tasso, arrivò secondo al Tour de France, battuto da uno straordinario Laurent Fignon. C’era stato l’intervento al ginocchio e aveva dovuto cedere al suo rivale. Ma quando si è veramente campioni, la vittoria si sente e si cerca ed è quello che ha fatto Bernard Hinault nel 1985, quando ha vinto il Giro d’Italia e poi ha nuovamente conquistato la maglia gialla lasciandosi alle spalle il compagno di squadra Lemond e Stephen Roche (e non Fignon come avevamo erroneamente indicato).
«Nel 1984 avevo fatto tutto il possibile per impedire a Fignon di vincere, ma era stato il più forte. Sapevo che sarebbe stato possibile riprovarci l'anno successivo. Vinsi prima il Giro d'Italia e questo per me, significava che avrei avuto un grande giro importante nelle gambe. Ho vinto perché puntavo alla vittoria e non mi importava se fosse la mia quarta o quinta. Non ho mai inseguito record, non è mai stata la mia priorità, correvo per divertirmi. Non ho mai provato a superare Merckx o Anquetil, i miei due idoli. L'unico record a cui punto è vivere più a lungo di Raphaël Géminiani. Gli mancavano sei mesi per raggiungere il traguardo dei 100 anni. Se ci riesco, allora quello potrebbe essere un vero record».