STORIA | 10/05/2018 | 07:15 Nel 1927 rimase in testa dalla prima all’ultima tappa, e ne vinse dodici su quindici; secondo arrivò Giovanni Brunero, a ventisette minuti e rotti. L’anno dopo, nel ’28, andò in testa alla classifica soltanto alla quarta tappa, a Sulmona, e poi non ce ne fu per nessuno: al punto che nella frazione che andava da Roma a Pistoia disse a suo fratello Albino, che era uno dei suoi gregari, di andare in fuga intanto che lui si fermava a girare una ruota. Poi gli lasciò vincere la tappa, l’unica della sua vita. Quella volta diede soltanto diciotto minuti al secondo.
Nel 1929 vinse otto tappe di fila, tre volte arrivò secondo e un’altra terzo: non se ne poteva più. Gli altri corridori cominciavano a pensare (e a dire): se c’è lui, meglio non andarci neanche al Giro. Così l’anno dopo gli organizzatori pensarono che fosse meglio non farlo partire, Alfredo Binda. Andarono a trovarlo a casa, gli offrirono ventiduemilacinquecento lire - l’equivalente del premio che spettava al vincitore - perché se ne stesse lontano dalla corsa, e lui accettò. E finalmente quel Giro, quello del 1930, fu bello e combattuto (il secondo classificato arrivò a meno di un minuto dal primo). Ed ebbe un vincitore che nessuno poteva immaginare.
Il ragazzo era nato a Ranello, frazione di Castelnuovo Don Bosco, nell’astigiano. Era del 1909, e tutti lo chiamavano Vigin. Fino all’anno prima non aveva neanche una squadra, Casorzo gli aveva dato una delle sue biciclette perché andasse in giro a vincere con quella. Perché Vigin vinceva, spesso e volentieri. Nel ’29, mentre Binda vinceva il suo quarto Giro, il terzo di fila, Vigin era andato nei soldati: alpino.
L’anno dopo la Legnano lo prese per correre al posto di Binda, e lui fece quello che sapeva fare: vinse. Non c’era ancora la maglia rosa, l’avrebbero inventata l’anno dopo. Era la prima volta che il Giro d’Italia andava fino in Sicilia, quell’anno si partì da Messina. Il 18 maggio, durante la seconda tappa, 280 chilometri da Catania a Palermo, sotto il vulcano il ragazzo Vigin fu colpito a un occhio da qualcosa che sulle prime non riuscì a capire. Bruciava come fuoco. Era un lapillo incandescente sputato dall’Etna. Gli misero una benda, e corse il resto del Giro con un occhio sì e uno no. Poco male. Andò in testa alla classifica il giorno dopo, quando da Palermo si tornava a Messina, e in testa rimase fino alla fine, a Milano. Era l’8 giugno, lui aveva ventun anni, un mese e quindici giorni: fu così che Luigi Marchisio per tutti Vigin diventò il più giovane corridore ad aver vinto un Giro d’Italia. Si tenne quel record per dieci anni. Poi arrivò Fausto Coppi, che si prese quello e molto altro ancora.
Oggi il Giro torna sull’Etna, da un versante inedito. Fate attenzione agli agguati, agli scalatori, e perché no anche ai lapilli.
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