STORIA | 03/07/2017 | 07:25 Giro d’Italia 1951. Gli organizzatori tornarono alle radici: da Milano a Milano, 4147 chilometri in 20 tappe, alla partenza i più forti corridori del mondo, anche se Fausto Coppi si era rotto la clavicola due mesi prima nella Milano-Torino ed era a corto di chilometri, e anche se Gino Bartali sarebbe caduto nella prima tappa perdendo un quarto d’ora e qualsiasi possibilità di conquistare la Corsa Rosa.
Il penultimo giorno – il 9 giugno – si correva la Bolzano-Saint Moritz, 166 chilometri, con il Passo del Forno, parallelo allo Stelvio, 2149 metri. In maglia rosa, Fiorenzo Magni, a 1’46” Rik Van Steenbergen. A contendersi la maglia nera, Nane Pinarello e Olimpio Bizzi. Pronti? Via.
Intanto, a Tirano, due ragazze illuminavano il mondo. Semplici, sorridenti, sportive. Bellissime. Perfette. Giro d’Italia?, madrine?, domandarono loro. Perché no, risposero, felici. Saltarono sul treno, furono accompagnate a Saint Moritz e investite del ruolo di miss, stavolta a illuminare il palco d’onore. Renza aveva 23 anni, Michela 15. Le sorelle Bettonagli. Renza miss tappa, Michela miss Lama Bolzano.
Poi arrivarono i corridori, e quel giorno gli svizzeri, giocando in casa, furono valorosi: primo Hugo Koblet e secondo, a 4’40”, Ferdy Kubler, davanti a Bartali, Van Steenbergen, Vincenzo Rossello, Coppi, Louison Bobet e Magni. Renza ricorda Koblet: “Era un uomo affascinante. Prima di ricevere il mazzo di fiori, prese il pettine da una delle tasche e si ravviò i capelli. Poi, come da cerimonia, ci baciammo”. Michela ricorda Magni: “Lui, di capelli ne aveva pochi, ma di fascino molto”. Fu un pomeriggio indimenticabile: “Coppi e Bartali, Toni Bevilacqua e Giancarlo Astrua, Oreste Conte e Adolfo Leoni, Alfredo Martini e Giovanni Pettinati… La carovana distribuiva regali e souvenir. Poi prendemmo un foglio di carta e pregammo i corridori di firmarci l’autografo. Li avremmo portati a casa, come trofei”.
Erano i tempi in cui Curzio Malaparte scriveva: “Bartali prega pedalando. Alza la testa solo per guardare al cielo. Sorride ad angeli invisibili. Fausto Coppi, invece, è un meccanico. Crede solo al motore che gli è stato affidato, vale a dire il suo corpo… Pedala a testa bassa, gli occhi fissi su invisibili manometri”. E Gianni Brera, direttore della “Gazzetta dello Sport”, spiegava: “La struttura morfologica di Coppi, se permettete, sembra un’invenzione della natura per completare il modestissimo estro meccanico della bicicletta”.
Sono passati 66 anni, ed è bello stare qui a ricordare quel giorno. Succede a Tirano, durante l’inaugurazione della mostra di teatrini di carta “Giro giro Tondo” di Fernanda Pessolano, nel Palazzo Foppoli. E in “Giro giro Tondo” le due sorelle miss si ritrovano nel boccascena di un ciclista eroico, nella piccola installazione di una Corsa Rosa tra i fiori, nelle teste di marionette apocalittiche dei corridori sul Bondone. Poi tornano per mostrare gli autografi dei campioni, e c’è anche quello di Coppi. “Da allora – spiegano - ogni Giro d’Italia ci riporta quei ricordi, quei baci, quei brividi”. Perché il Giro d’Italia è una bicicletta che corre, avanti e indietro, nel tempo.
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