MATTIA CATTANEO, LA RINASCITA

PROFESSIONISTI | 27/04/2017 | 07:50
Mattia Cattaneo è tornato. Dopo quattro anni difficili alla Lampre, nella quale era passato con grandi aspettative, visti gli ottimi risultati ottenuti tra gli Under 23 (è l’ultimo italiano ad aver vinto il Giro baby), in maglia Androni Sidermec ha dimostrato di aver ritrovato gambe e testa dei bei tempi. Il diploma di perito agrario può ritornare nel cassetto, Mattia è tornato in sella e non ha più intenzione di scendervi. In questo avvio di stagione il ventiseienne bergamasco di Alzano Lombardo, 182 centimetri per 60 chili, passista-scalatore con Cancellara come modello e il Tour de France come so­gno nel cassetto, si è messo in luce in tutte le corse italiane a cui ha preso parte e, di recente, ha finalmente rotto il ghiaccio nella massima categoria, ri­trovando la vittoria in Francia, sulle strade dell’ultima tappa del Tour de La Provence.

È stata una liberazione?
«Sì, tornare ad alzare le braccia al cielo è stato quasi una rinascita. Ne avevo bi­sogno, è stato proprio bello. La mia ultima vittoria credo risalisse alla Ruo­ta d’Oro, corsa per dilettanti che si di­sputa tra agosto e settembre, era il 2012. Insomma era un bel po’ che non vincevo, ci voleva per il morale, per ritrovare la convinzione nei miei mezzi, per tutto. Sapevo di andare forte, ho iniziato l’anno come volevo, ma il successo mi ha dato quella sicurezza che mi mancava dopo un periodo difficile che è durato fin troppo».

Ti va di parlarne?
«Arrivavo da quattro anni pessimi. Servi­reb­bero tre pagine per raccontare tutto quello che ho passato, ma ormai ap­punto è passato. Una serie di cose non sono andate come dovevano, è stato un insieme di sfortuna e mancanza di testa da parte mia, avevo tante aspettative verso me stesso e ne ho an­cora, ma non hanno influito sul mio andamento negativo. Non guardo più indietro, ho avuto tanti alti e bassi, più bassi in realtà, causati da infortuni ed errori miei, ma ora penso solo a quello che mi aspetta. Quest’anno ho iniziato con un’altra testa, fondamentale nel ciclismo, spero di continuare così e di migliorarmi».

Dopo la vittoria di Marsiglia sulla tua pagina facebook hai scritto: “Un grazie va in primis a tutti i miei compagni e a tutta l’Androni Giocattoli Sidermec che ha creduto in me quando le cose non andavano bene, un grazie va alle poche persone che mi hanno sempre voluto bene e un grazie lo devo anche a tutti quelli che non hanno creduto in me e mi hanno voltato le spalle, per avermi dato la grinta che ho oggi”.
«Chi mi ha voltato le spalle lo sa e non serve scriverne i nomi, chi invece ha sempre creduto in me merita spazio e la mia riconoscenza. In primis mi ha aiutato la mia famiglia: papà Flavio, mamma Chiara, mio fratello Simone e mia sorella Marta. Oltre a loro de­vo ringraziare il mio preparatore Mi­chele Bartoli che ha sempre creduto in me anche quando andava tutto storto e volevo smettere. Mi ha convinto a non farlo: “prima torniamo ai livelli che ti competono, solo allora, se lo vorrai ancora, appenderai la bici al chiodo; non puoi smettere da perdente, anzi senza aver dimostrato nemmeno quanto vali”. Mi è stato tanto vicino, così come il mio migliore amico Francisco. Mi hanno aiu­tato tanto anche il mio attuale pro­curatore Marco Piccoli (segue an­che Ulissi, ndr) e pochissime altre persone».

Ti sei perso. Cosa non funzionava?
«Mi facevo troppe menate. Passavo da periodi in cui mi allenavo tanto e non mangiavo niente, a giorni in cui mi allenavo poco e mangiavo di mer­da. Face­vo tutto in modo sbagliato e poi per recuperare commettevo errori opposti. Ero finito in un circolo da cui era difficile uscire. Non mi sono affidato né a nutrizionisti né a psicologi, ne sono venuto fuori da me grazie alle persone che non hanno mai smesso di volermi bene».

Come ne sei uscito?
«Non so neanche come ci sono entrato (sorride amaro, ndr). Non c’è sta­to un episodio o una persona che mi ha fatto cambiare, ma un cambio di vita totale che mi ha portato ad avere un’altra testa. Quando sono diventato professionista sono passato dal vivere a casa con i miei genitori a do­vermela cavare da solo, negli ultimi mesi dall’essere fidanzato sono passato al ritrovarmi single dopo 3 anni e mezzo di convivenza, ho trovato in­fine un ambiente molto diverso come squadra. Tutto ha contribuito a farmi diventare un’altra persona».

Correre è sempre bello come quando hai iniziato?
«Ora sì, vivo tutto con molta più se­renità. Vado in bici perché mi piace e non perché devo farlo. La differenza è sostanziale: prima vivevo male i sa­crifici, come se fossi professionista da vent’anni e ne avessi già le scatole piene. Mi pesava allenarmi, stare via da casa, seguire la dieta... Da dilettante invece mi sono sempre divertito e ora finalmente sono tornato ad avere quello spirito».

Merito di un nuovo compagno di allenamento...
«Anche. Ho conosciuto Francisco re­la­tivamente da poco tempo, ma è una di quelle persone con cui ti trovi a tuo agio fin da subito. Mi ha aiutato a capire determinate cose, a vivere con più serenità e sicurezza. Lo in­crociavo in bici tutti i giorni l’anno scorso, aveva bici e divisa della Lam­pre, per quanto si allena anche il fisico poteva essere quello di un professionista. “Mi dicevo chi è questo? Sono così fuso che non riconosco un mio compagno di squadra?” Così un giorno l’ho seguito e ho cominciato a parlarci. Ho scoperto che era un semplice appassionato e praticante, che vive a dieci chilometri da Ber­gamo, ha una agenzia di assicurazione, ogni giorno si ritaglia del tempo libero in mattinata per pedalare. Ora usciamo spesso insieme e ci frequentiamo an­che al di fuori della bici. Siamo di­ven­tati proprio amici».

Come è stato l’impatto con la nuova squadra?
«Ottimo, ho trovato un bellissimo gruppo. In Androni siamo molto af­fia­tati, sarà che siamo tutti ragazzi giovani, basti pensare che io sono tra i più vecchi (sorride, ndr). Tra noi si è creata una bella armonia fin da subito, lo abbiamo fatto vedere dalle prime corse a partire dal Tour de San Juan in Ar­gen­tina. Si respira un su­per ambiente, ringrazio Gianni Savio per la fiducia che mi ha concesso, sono felice di essere entrato a far par­te di questo gruppo. Ho legato con tutti, compagni e staff, in particolare con il diesse Giovanni Ellena perché ha capito che corridore sono e di cosa ho bisogno».

Come hai festeggiato il ritorno alla vittoria?
«In realtà non c’è stato tempo, siamo sempre in giro tra una gara e l’altra... Come trascorro il tempo libero? Sbri­gando le faccende domestiche nella mia casa di Bergamo e andando a trovare i miei, la nonna, gli amici... Co­se semplici. No ho grilli per la te­sta nè particolari interessi extraciclistici».

Tirreno Adriatico, Milano-Sanremo, Coppi & Bartali, Tour of the Alps corsi alla grande. Manca il Giro...
«La Coppa Italia è un obiettivo cruciale per la squadra, farò il possibile per ottenere buoni risultati e raccogliere punti per il team. Stiamo andando forte, ci meritavamo il Giro d’Italia. Noi corridori ormai abbiamo assimilato l’idea di non essere stati invitati, Gianni ne soffre di più. Nessuno di noi si aspettava la notizia della mancata wild card, ma questa delusione ci ha dato ancora più cattiveria e de­terminazione. Si è visto in tutte le cor­se a cui abbiamo preso parte finora, Tirreno compresa, che siamo competitivi anche in ambito World Tour».

A proposito di corsa rosa, hai letto che è tornato il Giro Under 23?
«Sì, è una buona notizia. Ne sono con­tento e mi fa piacere. Ero stato invitato alla presentazione, ma non ho potuto andarci perché ero in gara alla Tirreno. Ho ricordi bellissimi le­ga­ti a quella corsa, il 2011 per me è stato un anno super, adesso mi piace ricordarla come una stagione da ripetere. Vincere tra i professionisti è molto più difficile, ma darò il massimo. La maglia rosa tra i grandi? É il mio sogno e per ora resta tale. A vol­te i sogni si avverano, altre volte no. Per quello che ho raccolto da dilettante sono certamente più adatto alle corse a tappe che a quelle di un giorno, ma il Giro Baby è una gara di 10 giorni e non di 21 come il Giro d’Ita­lia. Essere al top tre settimane non è la stessa cosa, ma certo io spero che un giorno questo sogno diventi realtà. Sto lavorando per questo».

Il tuo primo ricordo in sella?

«Da piccolo al pomeriggio andavo spesso a girare in un parcheggio vicino a casa con due-tre amici di scuola in sella alla biciclettina da corsa che papà aveva preso in prestito dalla società giovanile del paese. Un giorno Giu­sep­pe Barcella, uno dei dirigenti del GS Valoti Nembro, ci ha visto e mi ha chiesto se volevo provare a cimentarmi in qualche garetta. Così ho iniziato la mia avventura, per gioco, girando due volte a settimana su una pista di 1,5 km. La prima cor­sa è stata proprio su quel pistino e me la ricordo come se fosse ieri perché arrivai sesto e premiavano i primi cinque arrivati (sorride, ndr). Dopo la prima stagione ho ricevuto da papà la prima bici tutta mia, blu e con un bellissimo adesivo di Speedy Gonzales».

Ora che ti sei sbloccato, ti sei dato obiettivi più precisi?
«Non posso dire “punto a questo o a quell’altro”, anche perché non so a quali corse verremo invitati e dove verrò schierato dalla squadra. Di­cia­mo che mi piacerebbe essere competitivo da inizio a fine anno. Voglio tornare a giocarmi qualche corsa di quelle che contano, rilanciarmi definitivamente. So bene che è impossi­bi­le essere sempre al top, ma concedendomi dei giusti periodi di recupero vorrei esprimermi al massimo del­le mie possibilità nel corso di tutto l’arco della stagione».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di aprile
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