Editoriale
Quante minacce per il ciclismo. A Cassino l’assessore della Polizia Giovanni Lullo decide di proibire le corse ciclistiche fino a nuova ordinanza. A Fiorenzuola sono gli albergatori a dire «no grazie» al ciclismo. Brutto momento per gli appassionati delle due ruote. Non bastava la piaga del doping, adesso c’è anche chi decide di toglierci le strade e un tetto. Ma anche questo è un segno dei tempi. Se non ci diamo velocemente una regolata tra poco le corse saremo costretti a vedercele solo al videoregistratore: delle belle retrospettive dal titolo «C’era una volta il ciclismo... ».
Il comune di Cassino avrà probabilmente esagerato, ma ha chiesto una cosa sacrosanta: la professionalità. In questo numero pubblichiamo le poche scarne righe dell’agenzia Ansa del 31 agosto scorso, e nel leggere «potranno essere organizzate solo se gli organizzatori assicureranno la massima sicurezza lungo i percorsi e avranno le necessarie autorizzazioni dalle rispettive federazioni di appartenenza» ci viene da sorridere, anche se non possiamo che essere daccordo. È normale che si debba garantire sicurezza, ma nella sostanza questo avviene sempre più di rado. La logica di questi tempi è sempre la stessa: l’importante è organizzare la corsa. Come queste vengano organizzate è semplicemente marginale. E anche la lettera di protesta che ci è giunta da un albergatore di Fiorenzuola dovrebbe farci riflettere. È sacrosanta la lotta al doping, ma le istituzioni hanno secondo noi due doveri: dare il buon esempio di efficienza e rigore e, fatto non per nulla secondario, fornire al ciclismo una buona immagine. Su efficienza e rigore soprassediamo; sul discorso immagine, anche. Come è possibile pensare di andare in casa di altri alle 5 del mattino per fare quello che si vuole? Medici che colpiti da delirio di onnipotenza credono di essere dei veri pubblici ufficiali. Medici che trasgrediscono alle più elementari regole dell’igiene effettuando prelievi del sangue nella reception, così, come se fosse la cosa più normale del mondo. Forse per il ciclismo cavare sangue ad ogni ora del giorno o della notte è diventato un esercizio naturale, ma per gli albergatori che già devono offrire spazi idonei per il ricovero delle biciclette e rendersi disponibili per far cenare i corridori alle ore più disparate, la bella storia della tutela della salute da perseguire nella hall dell’albergo è una storia che li rende perlomeno nervosi. Questa lotta al doping priva di buon senso, modi e maniere ci inorridisce quanto il ricorso al doping. La Federazione è orgogliosa di aver varato un progetto atto a costruire la «storia» medica di ciascun atleta? Bene. Dal 2000 allievi e juniores dovranno sottoporsi obbligatoriamente a esami rigorosissimi atti a creare una banca dati sanitaria. Ma secondo noi la lotta al doping la si fa con la ricerca, con esami antidoping in grado di individuare sostanze esogene, cioé immesse nell’organismo in modo artificioso. «Con le cartelle mediche metteremo in ginocchio il doping», hanno assicurato. Noi che conosciamo la logica di questa gente di malaffare, di molti genitori senza scrupoli che fanno e faranno di tutto per avere un figlio campione, temiamo che avranno la possibilità di alterare sin dalla categoria allievi i dati dei propri ragazzi. Un modo come un altro per costituire una cartella medica artificiosa ma in futuro inattaccabile. Drogati da subito per non temere nulla domani. E non meravigliamoci se sentiremo tra non molto discorsi del tipo: «L’ematocrito a 55%? Guardi, questo valore è naturale, ce l’aveva già a 16 anni». Le jeu est fait...

Pier Augusto Stagi

È con grande piacere che ospitiamo la lettera dell’Avvocato Ingrillì, presidente dell’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani, da noi invitatosullo scorso numero, a proposito dello spinoso e delicato argomento del doping.
Caro Direttore,
rispondo molto volentieri alla sollecitazione che mi hai rivolto nell’editoriale pubblicato sul numero di settembre di tuttoBICI, nel quale hai toccato tasti molto dolenti ed argomenti - purtroppo - di costante attualità. Ti ringrazio delle parole di stima che hai voluto esprimere nei miei confronti, e desidero immediatamente tranquillizzarti in merito al dubbio che hai sollevato. Non ci faremo calpestare da nessuno, stai ben sicuro, né io personalmente ho intenzione di accettare qualsivoglia compromesso. La posta in palio è molto alta e sono in diversi - compresi, forse, alcuni dei nostri associati, non sufficientemente attenti all’attività dell’associazione - a non rendersene conto.
Hai perfettamente ragione nel parlare, riguardo al ciclismo, di una «malattia» che non è poi così diversa da quella di altre discipline. Ma l’esagerato garantismo della Federazione Ciclistica Italiana sta effettivamente stravolgendo il quadro della situazione. Concordo quando dici che la Federazione deve senza mezzi termini combattere il doping tra i giovani: se riuscirà a farlo con risultati apprezzabili sarò il primo a gioire. Naturalmente con i professionisti bisogna ragionare su altri parametri, e mettersi il paraocchi non è una soluzione. Ripeto quello che ho già detto e lasciato intendere in altre circostanze. Se il Presidente Ceruti intende «vendere» i professionisti al Palazzo come merce di scambio, si sbaglia di grosso. Se crede di poter prevaricare i diritti degli atleti ed il ruolo dell’associazione che li rappresenta, ha fatto male i propri calcoli. Se crede - come è già avvenuto - di poter impunemente dichiarare un’avvenuta adesione al programma del CONI «Io non rischio la salute» senza dati di fatto alla mano, rischia soltanto qualche brutta figura, persino con i magistrati. Se ritiene realmente di poter condizionare la presenza in nazionale dei professionisti all’obbligo di sottoscrivere il programma «Io non rischio la salute», commette un vistoso errore strategico.
Credo fermamente che non possa esserci, specie in questo momento, una conflittualità esagerata tra le diverse componenti del ciclismo: voglio dire, in sostanza, che non ho nessuna intenzione di instaurare con il Presidente Ceruti un rapporto fortemente conflittuale, anche perché non servirebbe ad alcuno. Credo anzi in un tavolo di lavoro comune, dove la Lega abbia un ruolo più evidente e comprensibile dall’esterno: la «timidezza» del Presidente Vantellini è a questo punto assolutamente da superare.
Se, in buona sostanza, riusciamo a ragionare in un clima sereno e fattivamente collaborativo, potremo davvero cambiare questo ciclismo. Cosa che non avverrà se il Presidente federale si intestardisce in una battaglia quasi personale, negando alle altre componenti uno spazio necessario ed un confronto dialettico di importanza vitale. Come è accaduto - tanto per capirci e senza parlare esclusivamente di doping - con la questione dello sponsor delle squadre nazionali.
L’ACCPI in questi ultimi due anni ha dato segnali molto importanti, probabilmente non compresi. La disponibilità ai controlli del sangue è stata scambiata per una forma di asservimento, al punto che oggi mi chiedo se questa importantissima prova di lealtà dei corridori professionisti non sia stata, paradossalmente, un errore tattico. Abbiamo prodotto proposte significative per controlli più seri e più efficaci, senza registrare alcuna disponibilità a discuterne da parte di chi, come noi, dovrebbe essere fortemente partecipe del problema. O si tratta solo di sventolare il proprio impegno per una questione di facciata?
Senza dimenticare che la nostra Associazione riveste un ruolo centrale per tutto il movimento ciclistico professionistico mondiale ed è un punto di riferimento fondamentale per l’Unione Ciclistica Internazionale.
Mi piacerebbe vedere più coerenza, più lealtà, più collaborazione. Per adesso, almeno dal mio punto di vista, non c’è di che essere contenti, ma questo non significa che mi arrenderò, né che permetterò ad alcuno di calpestare l’ACCPI e i diritti dei corridori. Il giorno in cui mi renderò conto di aver fatto tutto ma proprio tutto, quanto è nelle mie possibilità, comunicherò spontaneamente le mie dimissioni. Ma chi pensa con atteggiamenti poco trasparenti di mettermi alle strette per provocare la mia resa, evidentemente non mi conosce. Non mi arrendo così facilmente.
Grazie per l’ospitalità.
Enrico Ingrillì Presidente ACCPI
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