Come fanno gli affari i manager della Federazione, non li fa nessuno. È il caso di raccontarne uno, di questi affari: il contratto televisivo con la Rai. Mi sembra il più geniale e il più illuminante. Allora: bisogna risalire un attimo di qualche mese, quando Federazione e rete di Stato intavolano la trattativa per le corse che senza offesa per nessuno chiameremo minori (a concludere sul Giro d’Italia sono capace anch’io). Da una parte i contabili della televisione, dall’altra gli alti vertici (diciamo così) del ciclismo. Questi ultimi portano sul tavolo la solita nenia vittimistica: queste corse sono un patrimonio dello sport italiano, senza le riprese televisive non trovano sponsor, senza sponsor sono destinate a morire, e bla bla e bla bla. Forse farebbero meglio a dire chiaro e tondo che queste corse non interessano più a nessuno, ma interessano ancora a loro perché sono organizzate dalla gente che li elegge. Ma fa lo stesso: mettiamo pure di credere alla finalità umanitaria. È alla Rai che purtroppo questa finalità interessa poco: sono finiti - o quasi - i tempi dell’onorevole di Ragusa o di Vercelli che impone la presenza delle telecamere nel proprio collegio elettorale, ovviamente a spese del popolo. Adesso, stretta nell’angolo da Mediaset (che almeno questo merito ce l’ha) anche l’azienda pubblica deve ragionare con una mentalità vagamente aziendale. Il che vuol dire, nel nostro caso, una cosa sola: le corse poco interessanti non si riprendono.
Siccome però qualche rimasuglio di invadenza politica è rimasta (come l’artrosi: non guarisce mai del tutto), qualcosa si può fare: in fondo il presidente federale è affine (o attiguo, o semplicemente amico) alle forze di governo, un no secco e drastico non glielo si può dare. Non è politically correct, non conviene a nessuno. E allora ecco la soluzione che accontenta tutti. Ad annunciarla è lo stesso presidente Ceruti, che arriva trionfante a spegnere le depressioni degli organizzatori e a tacitare i possibili rigurgiti dell’opposizione: duecento milioni, duecento grassi milioni la Rai verserà nelle casse federali per «ottenere» le corse minori. Messa così sembra una bella vittoria: la televisione pubblica paga per acquistare corse che non vuole. Mai comunque chiedersi troppi perché: e infatti la gente del ciclismo stupidamente non se li chiede, limitandosi a festeggiare l’affarone.
Peccato. Peccato, perché basterebbe un minimo di approfondimento per capire che persino in Rai, dove peraltro si è annidata per anni una vera e propria scuola di babbei, adesso è difficile reperire soggetti capaci di siglare accordi simili. Difatti, col passare del tempo e con l’arrivo delle corse tutti i tasselli dell’operazione finiscono al loro posto, rivelando un puzzle a dir poco demenziale. Per farla breve, l’accordo - vero - è questo: la Rai paga effettivamente duecento milioni, ma trasmette le corse minori sul canale satellitare a pagamento (audience, quattro o cinque cugini dell’organizzatore). Già questo sarebbe abbastanza, perché è come farsi piangere il cuore a sparare sul cavallo vecchio, salvo propinargli una bella dose di cianuro. Magari l’assassino si sente meno crudele, ma al cavallo interessa poco: lui è spacciato. Così le corse minori. Ma c’è di peggio. La clausola più bella, la più innovativa, sicuramente la più acuta, è quella che prevede per gli organizzatori l’onere di riprendersi in proprio la corsa e far pervenire alla Rai la cassetta già pronta. È o non è grande, la nostra Rai? Ma soprattutto: è o non è grande chi ha firmato questo accordo?
Adesso, a stagione praticamente conclusa, la situazione è balcanica. Esplosiva. Non si fa che incontrare organizzatori imbestialiti. Tutti quanti raccontano le loro disgrazie: nessuno ci aveva detto niente, ci siamo trovati la mattina della gara senza le telecamere Rai, abbiamo dovuto ingaggiare sul posto qualche operatore locale, non ti dico la qualità delle immagini. Splendido: la Rai si sciacqua la coscienza con un obolo di duecento milioni, però rientra subito dalle spese obbligando le corse ad autoriprendersi (come se a matrimoni e comunioni facessimo tutto con l’autoscatto). Tutto questo per poi non vedere le corse (salvo canale satellitare, audience cinque cugini). Domande a caso: è così che il ciclismo intende tutelarsi? È così che davvero la Federazione intendeva salvare la corse minori? Di fronte a certi fenomeni, a me non vengono più le parole. Parlano da soli. Cosa vuoi commentare. Al limite, una proposta per il prossimo contratto: aggiungiamo la clausola che gli organizzatori delle corse minori devono essere presi anche a schiaffi. La mattina, subito prima della partenza. Gratis. Se ancora non s’è capito, di soldi non ce ne sono più.
Cristiano Gatti, bergamasco,
inviato de “Il Giornale”
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