Arrivando a questo punto del giornale, tutti sanno già tutto su Pantani e sulla sua nuova storia. Che questo ritorno sia merito del presidente del Coni Petrucci o del presidente della Federazione Ceruti, o magari di tutti e due, francamente interessa molto poco: anche perché sono sicuro che il merito sia solo di Pantani. Più che altro, i politici dello sport sono bravissimi a cavalcare certe questioni. È il loro mestiere, vivono anche di propaganda. Ma ci si mette un attimo a smascherare il loro interessato interessamento: per esempio, Petrucci continua a non rispondere sul punto principale, e cioé come mai tutta questa attenzione e questo accanimento per il ciclismo, quando altre discipline - vogliamo fare scandalo e citare il calcio? - continuano imperterrite a dettare condizioni, tutte immancabilmente accettate dal Coni.
Quanto a Ceruti, la lista sarebbe ancora più lunga: limitiamoci a caldeggiare ancora una spiegazione sulla tempestività usata per informare il mondo sull’ematocrito di Pantani, mentre ancora dobbiamo conoscere ufficialmente i nomi degli undici dilettanti pescati alla vigilia del Giro baby. Cos’é, oltre al ciclismo anche la privacy è a due velocità?
Non è comunque il caso di insistere: già il pubblico ha sopportato abbastanza le chiacchiere e gli intrighi del doping. Nel giro di pochi mesi, tutti quanti si sono visti infliggere un corso accelerato d’infermiere specializzato. Più i supplementi di studi in giurisprudenza. E ovviamente i media ci si sono buttati sopra a pesce. Innocentisti, colpevolisti o agnostici, i giornalisti hanno dato fondo alle dispense. Ce ne sono alcuni, poi, che hanno costruito sul doping una vera e propria fortuna professionale: incapaci per anni di uscire dal medio cabotaggio della loro prosa e della loro sintassi, si sono subito riciclati in grandi esperti della chimica. Inchieste, rivelazioni, schizzi di fango. A poco a poco, si sono fatti una loro macabra notorietà: diciamo che sono diventati i beccamorti del ciclismo. Ci fosse ancora Sciascia, li definirebbe i professionisti dell’antidoping, sulle orme dei professionisti dell’antimafia: signori che schierandosi dall’altra parte, spacciandosi per i più accaniti avversari del flagello, sono di fatto gli unici a beneficiarne personalmente. Arrivano al punto di tremare, sotto sotto, soltanto al pensiero che un giorno o l’altro la piaga sia guarita: perché a quel punto, assieme a mafiosi e dopati, dovrebbero andare a casa anche loro, non sapendo più che fare e che dire. Non è un’esagerazione, ma ci sono cronisti che con l’antidoping si sono fatti un nome e adesso non riusciamo più a liberarcene: compaiono dappertutto. I settimanali chiedono loro interventi, le televisioni li chiamano al microfono, medici e magistrati li consultano. Quando poi capita di accendere la radio in macchina, magari anche solo per sentire l’ultima di Lucio Dalla, tocca riascoltare ancora loro, gentilmente invitati dalla servetta di turno nel suo talk-show radiofonico. Poi magari qualcuno si chiede ma chi glielo fa fare, a questi paladini del ciclismo pulito, ad assumere posizioni così contro e così scomode. Chi glielo fa fare? Glielo fa fare uno stupendo calcolo di convenienza, perché sono i primi a rendersi conto che senza doping e senza antidoping dovrebbero starsene in redazione a titolare le brevi.
C hissà che il ritorno di Pantani e possibilmente il ripristino di un minimo di legalità non servano anche a questo: a liberarci dai professionisti dell’antidoping. Sarebbe un provvedimento di salute pubblica. Perché un conto è fare il giornalista che non nasconde niente e cerca la verità, un altro è costruirci sopra battaglie personali e copiosi business professionali. Caro Marco, adesso che sei di nuovo vivo e lotti in mezzo a noi, ricordati possibilmente anche di questi signori. Non fornire più a nessuno comodi assist per prosperare sulle tue disgrazie. E per quanto ti riguarda, chiudi definitivamente il capitolo delle parole. Ne abbiamo dette tutti abbastanza, è il momento di tornare al lavoro. Basta coi livori, coi risentimenti e coi vittimismi. È andata, anche questa è vita. Si vede che il destino ti ha ritagliato una parte esagerata, esagerata nella buona e nella cattiva sorte. Esci da Campiglio come sei uscito dalla Milano-Torino, dimentica l’ematocrito come hai dimenticato gipponi e gatti randagi. Pedala, e basta. Divertici, e basta. Esaltaci, e basta. Senza offesa: il meglio di Pantani arriva quando Pantani è in bicicletta.
Cristiano Gatti, bergamasco,
inviato de “Il Giornale”
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