Editoriale
Li avete presenti quelli che stravedono per internet, la new economy e l’e-commerce? Sono persone sorrette da un imprescindibile ottimismo, e ci bombardano di continue nozioni, di entusiasmanti prospettive, di scenari che trasformerebbero la nostra malandata Terra in un Eden a cielo aperto. E poi ci sono quelli agnostici, diffidenti, scettici, pigri, quelli che hanno detto no all’e trattino e al www. Bene, la stessa cosa è accaduta dopo l’approvazione in via definitiva da parte del Parlamento della tanto attesa legge contro il doping. La maggior parte ha festeggiato l’avvenimento come se la battaglia contro il doping fosse già vinta. Altri, pochini, si sono mostrati più prudenti. I più gasati, neanche a dirlo, le istituzioni: Governo e CONI in testa. Cosa abbia da festeggiare poi quest’ultimo, un giorno ce lo spiegherà.

La notizia l’abbiamo dovuta attendere quasi tre anni, 838 giorni per la precisione, ma alla fine la legge contro il doping è arrivata. E questo è un fatto positivo, molto importante. La nuova legge penale è un segnale di grande buona volontà e si tratta di una normativa che ci pone sul serio all’avanguardia internazionale. Ma non è che solo l’inizio. È come se il Governo ci avesse dato l’ok per l’edificabilità. Abbiamo i soldi, il terreno, i mattoni, ma ora si deve costruire un nuovo «Palazzo sport» credibile e pulito. E per fare questo, occorre che gli organismi sportivi interessati collaborino fattivamente con la magistratura ordinaria. Staremo a vedere.

È bene dirlo: lo sport ha perso. Il CONI, i suoi dirigenti, i suoi laboratori lacunosi, le sue istituzioni devono fare autocritica. Loro festeggiano, ma hanno davvero poche ragioni per farlo. La legge prevede una commissione antidoping esterna, che dipenderà direttamente dal Ministero della Sanità. Saranno 20 i rappresentanti di atleti e tecnici, e tutti saranno di nomina ministeriale: 2 rappresentanti del Ministero della Sanità (di cui uno presidente); 2 del Ministero dei Beni Culturali; 2 della conferenza Regioni e Province autonome; 1 dell’Istituto Superiore della Sanità; 2 del Coni; 1 tecnico/allenatore; 1 atleta; 1 tossicologo forense; 2 medici dello sport; 1 pediatra; 1 patologo clinico; 1 biochimico clinico; 1 farmacologo clinico; 1 rappresentante degli Enti di promozione sportiva; 1 esperto di legislazione farmaceutica. Venti persone contro le nove che compongono la commissione in Francia: speriamo che anche l’efficacia sia pari all’impiego di forze...

Dovrebbe essere una buona legge. Usiamo il condizionale perché di fatto non siamo dei tecnici, e poi perché è meglio vedere come e quando sarà a tutti gli effetti operativa la legge. D’ora in poi nel perseguire il doping il giudice penale non dovrà più arrampicarsi sulle norme contro la somministrazione di farmaci pericolosi per la salute o sulla legge contro la frode sportiva. Ma pensiamo anche che molto dipenderà dalla crescita dei laboratori di ricerca. Se la lotta antidoping non investirà quanto chi persegue il doping, saremo al punto da capo. Se non avremo laboratori in grado di individuare, in modo certo e inappellabile, sostanze proibite, ogni sforzo risulterà vano. Prendiamo la questione «Gh». Se non si procede nella ricerca e nella messa a punto di un sistema per individuarlo, la legge servirà davvero a poco, per non dire a nulla. Servirà soltanto se si avrà la fortuna di beccare un atleta, un dirigente o un trafficante con il sorcio in bocca: con i medicinali nel bagagliaio, per intenderci.

A livello internazionale esiste oggi l’agenzia mondiale antidoping (Wada), che rappresenta in sostanza una semplice emanazione del CIO. La speranza ora è che anche in Europa si vada alla creazione di un ente antidoping davvero estraneo ai «poteri forti». Una autorità esterna che nulla ha a che vedere con l’attuale agenzia CIO e che armonizzi tutte le leggi europee e mondiali.

Fino a ieri gli atleti erano considerati «vittime» o meglio, parti lese. Da oggi l’atleta è, come è giusto che sia, responsabile delle proprie azioni, pronto a pagare per quel che commette. C’è chi ha già ipotizzato l’emigrazione di qualche atleta, un cambio di nazionalità per evitare e raggirare il rigore penale delle nostre norme. Adesso, con il sostegno del magistrato ordinario, che può persino disporre delle acquisizioni all’estero e delle “rogatorie”, bisognerà vedere quanti faranno spallucce alle richieste dell’inquirente sportivo. In questo caso gli atleti saranno solo e soltanto «vittime» della loro stupidità.

Pier Augusto Stagi
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