La stagione non è ancora chiusa, ma mi pare che non si debba aspettare l’ultima corsa per rilevare un tema molto importante, purtroppo già ben definito, anche se sgusciato via di giorno in giorno, di episodio in episodio, senza mai evidenziare compiutamente il senso globale della cosa: parlo del tramonto di Mario Cipollini.
Prima l’asma che gli porta via la primavera e gli mette in dubbio il Giro, quindi un acuto alla corsa rosa (il canto del cigno?) prima di un nuovo ritiro, quindi l’appuntamento al Tour, salvo cadere malamente in allenamento e saltare pure quello. Per concludere, la trionfale esibizione alla Vuelta, culminata con l’espulsione per il cazzottone al collega spagnolo Cerezo. In definitiva, di malanno in accidente, il re degli sprint ha praticamente saltato la stagione Duemila. Niente di trascendentale, succede a molti, l’anno dopo si ricomincia e si recupera magari meglio di prima. Per Cipollini, però, il discorso non è così semplice: ormai ha una certa età (dico ciclistica), e soprattutto fa un mestiere - il killer - che richiede molta freschezza, molta brillantezza e molta freddezza. Le ritroverà l’anno prossimo? Glielo auguriamo tutti, ma credo che pochissimi ne siano convinti. E comunque non sarà qualche tappa in più a cambiare l’impronta della sua carriera. Già adesso, parlandone da vivo, si può tranquillamente stilare la pagella finale.
Certo la terza età è difficile per tutti. Abbiamo visto quella di Bugno, dignitoso ma umiliatissimo, quella di Chiappucci (no comment), adesso vediamo questa stagione tra asme e sganassoni dell’eccentrico Cipollini. Ma in che posto vogliamo collocare quest’ultimo eroe, nella galleria della storia? Tra quelli che passano senza lasciare un segno, dimenticati in un amen, o tra quelli che presenzieranno stabilmente in ricordi e paragoni futuri? Personalmente, mi schiero con quelli che considerano Cipollini il più grande sprinter di sempre. Ma intendo sprinter puri, buoni solo per la volatona, senza mai chiedere nemmeno una cosina in più. Non ho mai capito quelli che ciclicamente lo vedevano capace di vincere Sanremo (fosse rimasto una volta coi primi sul Poggio...), classiche sul pavé, Olimpiadi e persino campionati del mondo. A fronte di questi voli della fantasia, di queste proiezioni da titolone, restano i tanti ritiri ai piedi delle montagne durante i grandi giri (Parigi l’ha vista solo da turista...), e piuttosto la quantità industriale di successi in corse rigorosamente pianeggianti. Su questo c’è poco da discutere.
Allora, vogliamo liquidare Cipollini come mezzo corridore? Questa operazione la lasciamo a quelli che aspettavano da lui persino la Roubaix. Noi del partito moderato, che pretendevano da lui solo volate eccelse e niente più, siamo invece lieti di consegnargli un ottimo diploma di sprinter potente ed elegante. Magari non proprio coraggiosissimo, però molto corretto (cazzotti a parte: ma nei cazzotti spagnoli ci gioca un po’ di orgoglio senile). In aggiunta, c’è il discorso che riguarda il personaggio. Da questo punto di vista, Cipollini assurge a mito. Perché nessuno, prima di lui, aveva così bene rinnovato la figura vetusta e un po’ patetica del ciclista. Cipollini ha portato nel gruppo l’estetica e la vanità, l’immagine e le pubbliche relazioni, impiegando molto del suo tempo e delle sue energie in una sapiente e calcolata gestione della sua icona. Stravaganze e mondanità, calzoncini fuori regolamento e biciclette dipinte a fantasia, su su fino alla foto nudo, il toscano ha centrato il suo obiettivo di posizionarsi come il macho bellimbusto del ciclismo. E non solo del ciclismo. Il suo merito resta quello di aver debordato dal settore, finendo nel vissuto nazionale, allargando cioè la cerchia dei fan tra zie e ragazzine, con ampie scorribande in spettacolini nazional-popolari e sulle riviste del gossip. Un’opera incessante e metodica, che non sempre si è sposata bene con i ritmi e le necessità del corridore, ma che comunque risulta a tutt’oggi fortemente innovativa. Magari a qualcuno piace poco, soprattutto ai puristi del ciclismo monacale: ma in ogni caso ha fatto storia e tendenza.
Adesso che gli Steels e i Quaranta, i Freire e i Wust non subiscono più la sua dittatura, a Cipollini tocca la parte del patriarca deposto. Però rispettato. Le intemperanze non possono in alcun modo far dimenticare che comunque ai suoi impegni - quelli veri - si è sempre presentato molto ben preparato e molto ben concentrato. Come ama dire lui, che magari ha un po’ la coda di paglia, non si dura dieci anni ai vertici se non c’è applicazione e sacrificio. Chi può dargli torto? Forse sbaglio: ma già adesso, che ancora esercita, già mi manca.
Cristiano Gatti, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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