Rapporti&Relazioni
Ma siamo sicuri che alle Olimpiadi vogliano il ciclismo?
di Gian Paolo Ormezzano

Ci sono tre domande da fare a proposito di ciclismo e prossimi Giochi Olimpici: davvero il ciclismo pensa fortemente all’Olimpiade, intesa ovviamente come prova su strada? davvero Pantani pensa seriamente alla prossima Olimpiade? davvero noi pensiamo seriamente a Pantani protagonista della prossima Olimpiade?
Secondo noi la risposta è semplice, sta tutta in una sillaba di due parole che vale per le tre domande: no.

Il ciclismo si interessa all’Olimpiade quanto l’Olimpiade si interessa al ciclismo. Cioè poco. Se Verbruggen, presidente internazionale del ciclismo, non fosse anche membro del Cio, del Comitato Internazionale Olimpico, l’interesse sarebbe ancora più esiguo di quello che è. Nel disegno prossimo venturo dei Giochi, che devono essere tutti e tutto spettacolo, il ciclismo ha poco posto: e casomai può ottenere più spazi il ciclismo su pista, meglio spettacolarizzabile, e sviluppato nel catino di un velodromo, dunque senza il dispendio di grandi mezzi tecnici. C’è il fatto che la pista ha, nel ciclismo come insieme, poco spazio. I suoi campionati mondiali sono ormai clandestini, del tutto avulsi dallo spazio e dal tempo dei riti stradali.
Ad Atlanta 1996, per la prima Olimpiade open della bicicletta, il ciclismo ha dovuto usare un circuito cittadino semplicemente comico. I prodromi della comicità comunque erano già nel circuito olimpico di Mosca 1980, ricavato su una piccola area, con i corridori che andavano e venivano su un groviglio si strade che si fiancheggiavano, si toccavano, si incrociavano grazie a sottopassaggi. Una pacchia per le telecamere fisse. Il Cio sta imponendo a molti sport, per dare ad essi il palcoscenico dei Giochi, la spettacolarizzazione coatta, a costo di snaturare la loro natura. Noi sappiamo cosa può chiedere al ciclismo: non lo scriviamo perché ci fa paura, e un po’ ci fa anche schifo.

Il ciclismo sa di avere poco a che vedere con i riti olimpici nuovi, e sente poco l’Olimpiade. I Giochi di Sydney quest’anno rivestono un solo motivo di interesse autentico (i fusi orari fra l’altro sottraggono la prova su strada ai teletifosi europei in diretta, a meno che non prendano sonno): precedono la prova mondiale, e dunque sono occasione di rifinitura di preparazione, di prenotazione iridata, oppure di appagamento, di rilassamento. Quanto al successo olimpico, è bello, ma ai Giochi atletica e nuoto soffocano tutto il resto: ne sa qualcosa persino il Dio calcio.
Pantani non può credere a Sydney: percorso piatto, impossibile fare il Baldini, che vinse su strada - Melbourne 1956 - nella prima Olimpiade australiana della storia. Ha parlato di Sydney dal Tour, Armstrong gli ha fatto eco, il nostro citì Fusi non se l’è sentita di scartare a priori uno che si propone e si chiama Pantani, noi abbiamo fatto finta di credere. Allegria. Anche quando Pantani ha detto che forse avrebbe fatto un po’ di Vuelta per prepararsi bene ai Giochi. Ma come? Rifiutare un terreno idoneo come quello spagnolo ad uno scalatore, idoneo per la vittoria finale, e rifiutare la corsa a tappe dove si possono fare dei calcoli lunghi, rimediando a crisi eccetera, per preparare una prova lotteristica di un giorno? Domandina: ma quante corse in linea ha vinto Pantani nella sua carriera, per puntare in luglio ad un traguardo in linea di settembre?
In pratica abbiamo risposto alle ultime due domande. Perché sia Pantani che noi (noi che abbiamo finto di credere a lui) abbiamo bluffato, abbiamo cercato di reagire, con un’arma nuova come quella olimpica, alla delusione della tappa del Tour finita a Morzine.

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Pensierino sul Tour: la coppia Auro Bulbarelli-Davide Cassani ha funzionato bene. Non che la coppia Adriano De Zan-Davide Cassani, con Bulbarelli in appoggio, funzionasse male, anzi, ma Bulbarelli si è preparato molto seriamente per la Grande Successione, che rispondeva poi alla necessità di offrire qualcosa di nuovo. Non importa se di meglio: di nuovo. Nel mondo di oggi il nuovo è sempre meglio, per dogma. Mentre Bulbarelli è cresciuto, Cassani si è, come dire?, sviluppato di più, arrivando quasi alla perfezione e passando definitivamente dal ruolo di spalla, che gli stava stretto, a quello di partner. Plaudire a Bulbarelli-Cassani, che si sono giovati della crescita di una grossa collaboratrice, Alessandra De Stefano, in due anni fattasi straordinaria reporter di emozioni e sensazioni, è piacevole e doveroso. Pensiamo che De Zan abbia contribuito, oltre che al ciclismo delle sue telecronache, anche a quello delle telecronache del nuovo duo. Perché ad un lavoro di De Zan durato quasi mezzo secolo tutti si sono appoggiati. Adesso Bulbarelli deve soltanto ulteriormente perfezionarsi nel francese, ma questo è un dettaglio, o una nostra fissazione personale.

Gian Paolo Ormezzano, torinese, editorialista de “La Stampa”
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