Editoriale
CONIventi. Di tutto e di più. Parlarne è diventato quasi imbarazzante, come sparare sulla Croce Rossa. La Federazione Ciclistica Italiana è allo sbando più totale, il ciclismo con lei. Come immagine non è per nulla edificante, e nessuno ci aiuta a capire se le voci siano tali o se la situazione è realmente così drammatica.
Si va dalla causa intentata da Claudio Magnani, ex direttore di Tuttociclismo (ha già vinto due round: TAR e Consiglio di Stato, ndr), a quella intentata da Luigi Coppola, ex responsabile stampa della FCI, che lamenta il mancato pagamento dei contributi previsti dalla legge. Non meno duro e violento è il braccio di ferro tra la Iside (cooperativa dei giornalisti di Tuttociclismo) e la Federciclismo. La seconda sezione del Tribunale di Roma, in data 4 luglio 2001, ha già emesso un provvedimento inoppugnabile che «ordina alla FCI di consentire alla Coopertiva e a tutti i suoi collaboratori l’accesso ai locali della redazione di via dei Mille nonché l’utilizzo dell’attrezzatura necessaria al fine di poter continuare ad editare la rivista». La Federciclismo, da parte sua, ha pensato bene di aggirare il problema editando una nuova testata: Il Mondo del ciclismo. Per farla breve: due giornali, con gli stessi direttori editoriale (Giancarlo Ceruti) e responsabile (Augusto Rosati) e mille problemi. E poi c’è la grana assicurativa legata a Lorenzo Laner, un ragazzo di Trento deceduto il 6 ottobre del ’99, per il quale la Federciclismo non avrebbe mai pagato la polizza assicurativa, e come se non bastasse c’è anche un esposto datato 30 marzo 2001 alla Procura della Repubblica per denunciare la grave situazione finanziaria della Federazione. A tale riguardo Raffaele Giacomazza, revisore dei conti della Federazione, si è rivolto alla Giunta Nazionale del CONI denunciando (il 1 giugno scorso, ndr) una situazione finanziaria insostenibile, dove in pratica ha chiesto al CONI stesso il commissariamento. E ultima in ordine di tempo, ecco arrivare la denuncia dell’avvocato Enrico Ingrillì, presidente dei corridori italiani, che ha denunciato sempre la FCI per essersi appropriata di quasi un miliardo di lire, per mancato versamento dei montepremi dei corridori.
Insomma, problemi su problemi, voci su voci, illazioni su illazioni e denunce su denunce, ma quello che ci lascia letteralmente sbigottiti non è tanto la calma olimpica della Federciclismo, ma è l’immobilismo del CONI. Sì, i problemi della Federciclismo sono anche e soprattutto dell’organo di controllo supremo: il CONI appunto. Pensiamo che sia arrivato il momento di sapere qualcosa di più, di avere delle risposte prima che qualcuno possa pensare o dire che erano CONIventi.

PECCATO CHE DAVIDS NON CORRA. Visitato il laboratorio Antidoping del CONI, all’Acquacetosa, scoprono che nel calcio non trovavano nulla perché nulla veniva cercato. Poi, dopo le dimissioni di Mario Pescante, si è aperto un nuovo mondo. Shalimov del Napoli e Pavan del Venezia, positivi al nandrolone. Nel marzo del 2000 riapre l’Acquacetosa e stavolta si comincia a fare sul serio: nandrolone a go go. E arriviamo al 21 aprile 2001: Davids non negativo per nandrolone. Otto nanogrammi (o 5,4, secondo un altro metodo di calcolo) contro i due consentiti. La partita incriminata è Udinese-Juventus. Incomincia il lungo braccio di ferro, fatto di udienze e carte bollate. La spunta la Juventus: Davids fermo per quattro mesi. E chi lo dice agli altri? Ai calciatori squalificati molto più pesantemente per doping prima del caso Davids? E soprattutto: chi lo dice ai corridori, a gente come Dario Frigo, che fino a prova contraria è stato licenziato in tronco dalla sua squadra (la Fassa Bortolo) per essersi fatto trovare in valigia (e non nelle urine) due fialette di prodotto dopante?
Ma tornando al bel mondo del calcio, dove «la legge è uguale per tutti, ma per alcuni è molto più uguale». Maradona, pizzicato a Napoli nel ’91 per cocaina, ebbe 15 mesi. Il bresciano Edoardo Bortolotti, nello stesso anno, 12 mesi (qualche mese dopo si suicidò). Ancora a Napoli, nel ’93, Caniggia: 13 mesi. Il record spetta ad Angelo Pagotto, portiere del Perugia: 2 anni per una sniffata (mai confessata) di coca. Poi la lunga sfilata di casi di nandrolone: 24 mesi a Shalimov (Napoli), 16 a Bucchi e Monaco del Perugia e a Da Rold del Pescara (che rischiò addirittura il licenziamento), 8 a Caccia (Piacenza), 10 a Couto (Lazio), Sacchetti (Piacenza) e Gillet (Bari). Poi, i saldi di fine stagione: cinque mesi a Davids e al parmense Torrisi. Per il primo Aiello ne aveva chiesti tre e mezzo, per il secondo otto. Alla fine si è trovato un bel punto d’incontro: quattro a tutti e due. Pari e patta e tutti felici e contenti.
È il caso proprio di dire: come nel ciclismo; dove l’UCI è intervenuta sui casi di Sergio Barbero e Riccardo Forconi risultati positivi all’EPO (Barbero al Romandia, Forconi al Giro) e fermati per tre mesi dalla Federciclismo: l’UCI, applicando il regolamento, ha portato a sei mesi la squalifica. Il perché di tutto questo? Semplice, Davids non corre in bicicletta.
Pier Augusto Stagi
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