Ciccone, l'uomo che cresce

di Giulia De Maio

Ha rischiato di essere proclamato re della montagna del Giro 101 ma nel cuore ha il mare. Dopo tre settimane in sella in giro per l’Italia, Giu­lio Ciccone è tornato nel suo Abruzzo per concedersi almeno una giornata in spiaggia, ad ammirare l’acqua blu come la maglia che ha sognato di conquistare fino agli ultimi giorni. Si è dovuto inchinare solo a Chris Froome, che oltre alla generale ha dominato anche la classifica dei Gran Premi della Montagna, precedendolo di 17 punti: 125 per la maglia rosa, contro i suoi 108.
Nel 2016 Giulio ha vinto la Campi Bisenzio-Sestola, diventando il terzo più giovane corridore di sempre a vincere una tappa al Giro d’Italia, dopo Fausto Coppi e Luigi Marchisio. Oggi a 23 anni in maglia Bardiani CSF ha dimostrato di essere tornato  competitivo al cento per cento, dopo il disturbo cardiaco che lo aveva frenato nella scorsa stagione.
«Il problema era al cuore, c’era un nervo che creava un cortocircuito. Nell’inverno 2016 mi sono sottoposto a due operazioni al centro cardiologico Monzino di Milano, due ablazioni. Era una cosa difficile da risolvere al primo colpo. Una buona parte del 2017 però era già compromessa».
Al successo era tornato nella tappa regina del Tour of Utah 2017 ma il suo chiodo fisso era il Giro. Per la corsa si era preparato bene, lavorando più di due settimane sull’Etna in altura, poi proprio alla vigilia della partenza una caduta in allenamento ha rischiato di compromettere tutto.
Contento del tuo Giro?
«Sì, ma è stato durissimo. Nella penultima tappa con arrivo a Cervinia (dove è giunto quarto alle spalle di Nieve, Gesink e Grosschartner dopo 214 km di fuga, ndr), mi sono dato il colpo di grazia. La classifica dei GPM mi è sfuggita a causa della giornataccia che avevo vissuto nella frazione precedente. Ho mancato per pochi punti la ma­glia azzurra e sfiorato il risultato pieno, ma più di così non potevo fare. Noi della Bardiani Csf abbiamo dato il massimo, purtroppo è stato dato po­chissimo spazio alle fughe e non siamo riusciti a centrare la vittoria di tappa ma abbiamo onorato la corsa dal primo all’ultimo giorno. Personalmente ho dato tutto quello che mi era rimasto in corpo e posso comunque essere contento per il bagaglio di esperienza che ho acquisito e per aver dimostrato di aver fatto un ulteriore salto di qualità per la mia crescita come corridore».
Cosa ha di speciale questa corsa?
 «Giri il tuo paese, lungo la strada trovi tanti amici ed è la corsa più prestigiosa in Italia, offre una grande visibilità. È davvero popolare, pensate che per l’occasione il mio amico Felice della Ge­la­teria Pino Pinguí di Manoppello (PE) ha pensato di unire i miei due gusti preferiti, cocco e pistacchio, e dedicarmi un gusto di gelato per le tre settimane rosa. L’esperimento è riuscito, mi ha detto che piace».
Hai vissuto una giornata particolarmente emozionante, quando la corsa è passata da Rigopiano.
«Sì, il 14 maggio con una delegazione del Giro d’Italia mi sono recato nel comune di Farindola, dove il 18 gennaio 2017 una slavina travolse un hotel, causando 29 vittime. E il giorno successivo al via della Penne-Gualdo Ta­dino, che passava proprio accanto al luogo della tragedia, ho indossato con orgoglio una pettorina con i nomi delle persone che hanno perso la vita in quella triste occasione. Per me pedalare su quella salita è stato ancor più im­portante che l’arrivo del giorno precedente al Gran Sasso. Conosco bene quella strada per averla percorsa moltissime volte in allenamento, ma non ci ero mai più tornato dopo la tragedia. Ricordavo una fontana presso la quale mi fermavo spesso a rinfrescarmi e ho visto che anche quella non c’è più. Ri­cordo benissimo quella sera: ero a casa con i miei genitori e, quando ho sentito la notizia al telegiornale, mi sembrava impossibile che una cosa del genere fosse successa a due passi da casa».
La tua giornata tipo al Giro?
«La sveglia suonava intorno alle 8.30-9.00, con calma, dopo di che ci concedevamo una colazione ricca con la pa­sta e cibi più classici per la dieta del mattino. Tornati in camera preparavamo le valigie, salivamo in bus per il trasferimento verso la partenza, che poteva essere più o meno vicina. Quello era tra i momenti più belli perché con i compagni ascoltavamo musica, si rideva e si scherzava di tutto. Poi si passava a una fase più seria, la riunione per la tappa con il direttore sportivo. Quin­di via al foglio firma e in bici. Dopo la corsa, ritornavamo subito ai bus per farci una doccia e mangiare, generalmente del riso con il tonno. Nel viaggio verso il nuovo hotel avevamo meno energie per cantare rispetto al mattino, trascorrevamo il tempo confrontandoci sulle sensazioni avute in gara. Appena arrivati in albergo massaggi e cena, intorno alle 21.30-22, con i trasferimenti quest’anno siamo arrivati sempre abbastanza tardi. Dopo esserci rifocillati io mi infilavo subito a letto e prima di addormentarmi stavo un po’ al telefono, guardavo le foto della giornata, sbirciavo cosa si diceva sui social. Nel giorno di riposo la sveglia era libera e i ritmi più tranquilli, svolgevamo un giro in bici con sosta al bar, i massaggi, qualche intervista».
E ora che è finita?
«Devo recuperare un po’ di energie, in inverno ho lavorato tanto e il Giro è stato davvero dispendioso. Allo stesso tempo vorrei sfruttare la condizione tirando dritto fino al Campionato Ita­liano di fine giugno. Nella seconda parte di stagione vorrei cercare di far bene nelle corse italiane: dal Giro dell’Emilia al Lombardia, ci tengo a ben figurare nelle gare più adatte alle mie caratteristiche».
Sei diventato un uomo mercato... Sap­pia­mo che si sono fatte avanti Trek e Astana, ma anche UAE e Ag2r hanno bussato alla porta.
«Ho letto quello che avete scritto durante il Giro, quello che è certo è che ho ancora un anno di contratto con la Bardiani CSF. Sicuramente per il futuro ho in mente il passaggio in un team World Tour, però ho solo 23 anni, ho tempo per pensarci. Sono sicuro che il mio procuratore Johnny Carera mi suggerirà il percorso migliore da seguire».
Al terzo anno nella massima categoria, in cosa ti senti migliorato?
«Rispetto a quando ho affrontato il salto tra i professionisti sono migliorato nella resistenza alla fatica. Dopo una giornata pesante prima facevo fatica anche di testa a ripartire, ora invece mi sono abituato alla fatica, ai sacrifici che richiede la vita da corridore e dopo una batosta riesco a rialzarmi con più facilità».
Originario di Chieti, abiti a Bergamo. Cosa ti manca di casa?
«Il mare. Sono “diviso” tra la famiglia in Abruzzo e la mia ragazza Chiara, che è di Bergamo (l’ha conosciuto du­rante una vacanza, ndr), ma per fortuna non mi sento solo da nessuna parte. Papà Roberto lavora in un ufficio re­gionale, mamma Silvana è maestra in una scuola elementare. Ho un fratello, Guglielmo, che ha un anno più di me e sta finendo di studiare come grafico e una sorella, Roberta, di 17 anni che frequenta le superiori. Papà è sempre sta­to appassionato di ciclismo, ma sono l’unico in famiglia ad averlo mai praticato. Ho iniziato a 7 anni e la prima  gara l’ho disputata a 8 anni a Manop­pel­lo, in provincia di Pescara. Non andò bene, tutt’altro. Per poco non mi ammazzo: ricordo che schivai una ca­duta passando tra un palo e un muro».
Cosa fai prima di iniziare una gara?
«Il segno della croce».
Quanto tempo passi in bicicletta?
«Dalle tre ore e mezzo alle cinque al giorno».
Quando non corri cosa fai?
«Mi piace passare il tempo con la mia ragazza, andare al cinema, passeggiare».
A quale ciclista ti ispiri?
«Purito Rodriguez. Mi sono sempre piaciute le sua azioni, gli arrivi sugli strappi duri».
Quale corsa ti piace?
«La Liegi-Bastogne-Liegi mi affascina. E poi la Freccia Vallone e le grandi cor­se a tappe, Giro e Tour su tutte».
Piatto preferito?
«Gli arrosticini e la polenta taragna».
Titolo di studio?
«In tasca ho un diploma di geometra, conseguito in cinque anni».
Salite del cuore?
«Il Passo Lanciano e la salita della Roncola sono i miei luoghi di allenamento».
Dopo tre settimane di Giro...?
«Mi sono concesso una giornata di relax, al mare, e una pizza. La vita del corridore è molto frenetica, sto poco a casa, sia a Bergamo che a Chieti. Sono tornato in Abruzzo per la gioia dei miei, che non vedo anche per mesi interi. Per seguirmi al Giro hanno preso le ferie, con gli amici e con i tifosi della zona, hanno sfornato arrosticini per tutti».

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