Ballerini: «E adesso datemi il Nord»

di Giulia De Maio

Al Giro 101 Davide Ballerini si é distinto come vincitore del maggior numero di traguardi volanti. Al debutto nella corsa rosa, il 24enne brianzolo di Cantù si è lanciato all’attacco dalla prima all’ultima tappa, senza paura e senza finire “mor­to” alla prima esperienza in un grande giro di tre settimane. Con i compagni della Androni Giocattoli Sidermec ha macinato chilometri e chilometri in fu­ga, facendosi notare da più team World Tour. E lui, che sogna di testarsi nelle classiche del Nord, non poteva chiedere di meglio. Il contratto con un grande team può permettergli di realizzare il suo più grande sogno: provare sulla propria pelle le emozioni di pedalare sulle pietre della Roubaix. Proprio come il suo mito Franco Ballerini, a braccia alzate in quell’unico poster ap­peso al muro della sua cameretta. Mer­cì Giro.
Cosa ti resta del tuo primo Giro?
«Un po’ di mal di gambe, ma neanche troppo. Pensavo peggio (sorride, ndr). Mi ha colpito la gente, soprattutto nel­le prime tappe e in Sicilia, sulle grandi salite come nelle tappe piatte. E quanti bambini, fuori dalla scuole, con le bandierine. Fantastici. Quando ero piccolo mio padre mi portava al Giro quando passava vicino casa, al Lombardia e altre corse in zona Como. Saltavo scuola più che volentieri».
Il momento che non scorderai mai?
«La presentazione a Gerusalemme è stata davvero bella. Davanti a un mare di pubblico, sfilando sulla passerella ro­sa a forma di infinito, ho pensato alla tanta strada fatta per arrivare fin lì. Quel giorno per me si è avverato un so­gno, ma non dimentico che ne ho tanti altri e tanta strada ancora davanti».
La tappa più dura?
«Quella con arrivo a Sappada, dopo le fatiche dello Zoncolan, l’abbiamo fatta davvero forte. Tra le più belle metto Imola: presentava un bel percorso, ha piovuto nel finale ed è diventata ancor più selettiva a causa degli eventi atmosferici. Anche in quel caso non è andata in porto la fuga, ma mi sono divertito».
Cosa hai imparato?
«Che ci vogliono tanta determinazione, grinta e molta costanza. Il mio primo Giro è stato una bellissima esperienzaquando lo guardi da casa, ammiri solo la gara, non percepisci tutto quello che c’è dietro. Tutto è più grande di come appare, quando lo vivi da dentro. Spe­ravo andassero a segno più fughe, invece gli attaccanti sono stati premiati so­lo a Prato Nevoso, quando il nostro Mattia Cattaneo si è dovuto inchinare a Maximilian Scachmann, e a Cervinia dove sono andato in avanscoperta con Frapporti, Gavazzi e Belletti ma nulla abbiamo potuto contro Nieve».
Tornerai con maggiori ambizioni?
«Sicuramente. I grandi giri sono corse che possono far crescere molto un giovane come me, se ne avrò la possibilità ci tornerò volentieri, vincere qualche tappa nei prossimi anni sarebbe fantastico, ma ad essere sincero non è la mia più grande ambizione».
Scusa?
«Mi piacerebbe molto di più testarmi nelle corse del Nord, quelle dei miei sogni. Ad inizio anno sono stato contattato da qualche squadra World Tour e con il mio procuratore Luca Mazzan­ti stiamo valutando quale potrebbe essere quella che mi può offrire la miglior soluzione per la mia crescita. Entrare a fare parte di una grande squadra che può permettermi di provare le corse di un giorno più belle al mondo, vorrebbe dire concretizzare un altro sogno dopo il salto nel professionistmo, anzi oserei dire il più importante. Dal primo anno che sono salito in bici la mia ambizione principale è testarmi nelle classiche che mi piacciono di più».
Hai capito che corridore puoi diventare?
«A marzo su tuttoBICI mi avete dedicato un pezzo intitolato “il corridore che non sa”, l’ho trovato azzeccato. Sono un passista veloce ma in effetti, anche dopo la bellissima esperienza rosa, non so fin dove potrò arrivare e quale potrà essere la mia dimensione. Lo scoprirò solo quando avrò portato a termine Fian­dre e Roubaix, che ho assaggiato con la maglia della Nazionale quando ero Under 23».
Dopo tre settimane di Giro cosa hai vo­glia di fare?
«Rilassarmi. Nelle tre settimane di ga­ra mi è mancato tanto Yuma, il mio ca­ne, un lupo cecoslovacco a cui sono mol­to legato. I miei genitori sono ve­nuti al giro da Imola in poi e me lo hanno portato. Fare una passeggiata con lui è stata la prima cosa che ho fat­to appena sono tornato da Roma. Chiaramente è stato bello riabbracciare anche gli umani della famiglia (ride, ndr). Mamma Silvana, casalinga, papà Fabio, che la­vora in banca, e mio fratello maggiore Marco, che vive e lavora in Sviz­zera».
Prima di scoprire la bicicletta hai praticato per 6 anni nuoto per salvamento. In cosa è simile al ciclismo?
«Ho iniziato a correre da allievo di se­condo anno, quando il nuoto era diventato troppo monotono per i miei gusti. Visto che a stare in vasca da solo mi an­noiavo, ho preferito mettermi alla prova in una disciplina in cui conta anche la squadra. Anche in piscina ci vuole molta concentrazione, ma il ciclismo è decisamente più faticoso. Ci­men­tarmi nel nuoto e nell’apnea in età giovanile mi ha aiutato ad ampliare la capacità polmonare, ne ho parlato di re­cente con i medici del team e anche loro mi hanno confermato che è stato importante per migliorare la respirazione. La prima squadra per cui ho corso si chiamava Capiaghese, una società che adesso purtroppo ha chiuso i battenti. Rispetto a quasi tutti gli altri ciclisti ho cominciato tardi, ma sono convinto che quando si ha la voglia di fare non ci sia limite di età. Fino alla ca­tegoria Under 23, c’è sempre tempo per cominciare, anche se bisogna fare i conti con la mancanza di esperienza. Con la forza di volontà però si può su­perare ogni ostacolo».
Sei un grande appassionato di musica, ma la colonna sonora al Giro non l'hai scelta tu...
«Quando c’è Gianni Savio, è Kabir (Len­zi, massaggiatore e autista del motorhome, ndr) a fare il deejay. Dalla scorsa Ciclismo Cup chiude i briefing con una colonna sonora. Fino all’anno scorso il leitmotiv era l’inno della Champions League, perché Gianni ci ricordava che ogni gara per noi doveva essere come una finale di Champions. Da Israele, ha cominciato a dire: “strada facendo poi…”.  Così Strada facendo di Claudio Baglioni è diventato il no­stro inno rosa».
Il campione a cui ti ispiri?
«Apprezzo Philippe Gilbert, per come corre e per le gare che ha vinto, ma non ho un idolo in particolare. Da bambino andavo dove tirava il vento, tifavo chi vinceva. In camera però ho sempre avuto un unico poster: Franco Ballerini in trionfo alla Roubaix».
Tre aggettivi per definirti?
«Testardo, determinato, giocherellone».
E il ciclismo cos’è?
«Fatica, passione, autocontrollo».
Come ti caricavi prima della partenza di ogni tappa?
«Ascoltando un po’ di musica, principalmente house».
Come ti rilassavi nel post tappa?
«Sempre con la musica, magari con canzoni più tranquille, tipo quelle di Battiato o Baglioni»
A quali gare ti vedremo prossimamente?
«Inizierò il mese di giugno correndo a Lugano e Gippingen, poi forse il Giro di Slovenia, l'Adriatica Ionica Race e il Campionato Italiano. Dopo la sfida tricolore staccherò un po’ prima del tour de force, anzi della Champions, come la chiama Gianni, vale a dire tutte le corse di fine stagione valide per la Ciclismo Cup, il grande obiettivo del team».

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