Mosca in fuga
di Giulia De Maio

Alla prima gara in mezzo ai professionisti è andato in fuga. Dobbiamo tornare al GP Costa degli Etruschi 2015, al suo ultimo anno da under 23, con la maglia della Nazionale, per capire di che pasta è fatto. Jacopo Mosca è un attaccante nato. Il pubblico del ciclismo ne ha avuto prova il mese scorso, quando Sun è stato il corridore che ha affrontato più chilometri in fuga alla Tirreno-Adriatico e, al debutto alla Mi­lano-Sanremo, non è stato da meno. Senza paura, si è buttato in fuga contro vento e pioggia, subito al pronti via. Il 24enne piemontese della Wilier Triestina Selle Italia sta mettendo in mostra una generosità fuori dal comune che ben si coniuga con eccellenti doti da passista. Non sarà un vincente, come dice lui stesso, ma ha il carattere e la grinta per costruirsi una carriera di tutto rispetto.
Dove hai messo la maglia arancio di vincitore della classifica a punti della Tir­re­no-Adriatico?
«L’ho incorniciata e appesa in casa. A Osasco (To), piccolo comune del circondario pinerolese, dove vivo, quando non sono in giro per il mondo, con la mia famiglia. Mamma Claudia, maestra d’asilo, papà Walter, informatico, e i mie due fratelli: Niccolò, più grande di me di due anni, e Alberto, che è del 2003. Ho sempre guardato la corsa dei due mari in tv, già essere al via mi sembrava strano, figuratevi salire sul palco finale per le premiazioni. Fino all’ultimo ho temuto che Sagan facesse la cro­no a blocco e me la sfilasse, ma alla fi­ne sono riuscito ad aggiudicarmi la ma­glia. Per me è stata una grande emozione. Dopo una buona prima stagione nella massima categoria (corredata an­che da due successi: una tappa e la classifica finale del Tour of Hainan, ndr) è la dimostrazione che sto crescendo nel modo giusto».
Come ti sei innamorato delle due ruote?
«Fin da piccolo ho avuto questa passione, anche se in famiglia nessuno prima di me aveva mai corso in bicicletta. Ho cominciato a undici anni con le prime gare da G5. Penso di essere l’unico sulla faccia della terra a non aver mai vinto da giovanissimo. Mi battevano anche le femmine. Sono uno coerente, ancora oggi non vinco mai (scherza, ndr). Da bambino per me il ciclismo era un gioco e nella squadretta di Bricherasio con cui ho iniziato ero praticamente l’unico tesserato, mi avevano dato una biciclettina più o meno della mia misura e via andare. Ricordo che alla prima corsa ci misi una vita a centrare con i piedi le gabbiette...».
L’inizio non è stato promettente.
«No (sorride, ndr), ma devo ringraziare mio padre per aver continuato ad accompagnarmi durante gli allenamenti e alle corse. Da Esordiente ho militato nell’Esperia Piasco mentre da Allievo e Juniores nell’UCAB Biella. Quindi sono approdato al dilettantismo col GS Po­denzano, con cui ho disputato le pri­me due stagioni da Under 23 mentre nei restanti tre anni ho corso con la Viris Maserati. Devo dire grazie a tante persone, ho imparato molto in particolare da Matteo Provini».
Hai un soprannome?
«Sun. Me l’ha affibbiato mio fratello quando avevo 6 anni. Giocavamo a Fi­fa98 e c’era un giocatore giapponese che si chiamava SunJjak. In un attimo ecco: Sun Jacopo».
Come andavi a scuola?
«In macchina (ride, ndr). Mi sono di­plomato al liceo scientifico, senza mai studiare. Sono sopravvissuto tutti gli anni, mi accontentavo dei 6 e vivevo sereno. Se c’era bisogno copiavo, altrimenti mi compravo i professori ed ero a posto».
Scusa?
«Li prendevo per la gola. In quinta avrò portato in classe un centinaio di torte... Mi piace molto cucinare e i dol­ci semplici, tipo le torte allo yogurt, mi vengono bene. Ora è meglio che cucini poco perché se no mi viene da mangiar tutto. Il mio piatto preferito? Eh, ce ne sono tanti. Diciamo una pizza ben farcita. E per finire un bel caffè, senza il quale non potrei vivere».
Quale poster avevi appeso nella tua cameretta?
«Quelli di Star Wars. Nulla relativo al ciclismo, anche se quando ho iniziato a correre avevo come mito Ivan Basso per le sue vittorie. Crescendo ho imparato a guardare oltre la prova sportiva e devo dire che Ivan, per impegno e dedizione al ciclismo, ha tantissimo da insegnare e sono convinto che nella sua nuova avventura possa aiutare tanto i giovani a crearsi la giusta mentalità per essere competitivi».
Come lui, ti affidi al Centro Ricerche Ma­pei Sport.
«Sì, ho questa fortuna. Quando sono passato professionista ho chiesto ad Andrea Morelli, responsabile del settore ciclismo, di poter essere seguito da lui e dal suo staff che avevo conosciuto negli anni passati in Viris. Lui ha subito accettato con entusiasmo, anche se ero un neoprof senza risultati eclatanti. Io sono davvero felice di lavorare con Matteo Azzolini, un ragazzo con cui ho corso tra i dilettanti (condividendo an­che qualche fuga) e con il quale mi confronto di frequente. All’inizio dell’anno mi sembrava di essere indietro di preparazione, mentre lui mi ha rassicurato: “vedrai che a marzo an­drai forte”. Aveva ragione».
Cosa significa per te andare all’attacco?
«È il mio modo di correre. Sa­pendo che nel finale sarei battuto, è la mia occasione per inventarmi qualcosa ed essere protagonista. Ci provo per farmi vedere e, nel caso il gruppo sbagli i tempi, giocarmi le mie possibilità. Non si può partire già sconfitti. E poi anche in allenamento sono abituato a prendere il vento in faccia. Mi alleno in compagnia del mio amico Umberto Marengo, che corre tra gli Under 23. Non c’è nessun altro vicino. Purtroppo nella zona di Pinerolo, se non fosse per Elvio Chiatellino che fa arrivare il Giro e il Tour sulle nostre strade, non ci sa­rebbe proprio nulla. La cultura ciclistica non trova spazio in nessuna squadra, è un vero peccato».
Ti vedremo al Giro?
«Lo spero. Io mi sto allenando per far­mi trovare pronto a maggio. Dopo la Coppi&Bartali, andrò in ritiro sull’Et­na con Busato e Zardini per prepararci al meglio per il Tour of the Alps e guadagnarmi un posto per la corsa rosa. Il sogno di ogni ragazzino che pratica ci­clismo in Italia è quello di avere l’opportunità di correre il Giro. Ricordo quando da bambino vidi passare il gruppo davanti casa nel 2007 e al traguardo caddero tutti, due anni dopo sulla Colletta di Cumiana ammirai Di Lu­ca che poi avrebbe vinto e nel 2016 assistetti il successo di Trentin».
Cosa ti aspetti per il futuro?
«Per quanto riguarda la carriera spero sarà la più lunga possibile. Per quanto riguarda la vita privata, aspetto che Fe­derica si laurei in Medicina per pensare a qualcosa... Ormai sono 9 anni che stiamo insieme. È appassionata di tutti gli sport, corre a piedi, da un paio di anni è stata rallentata da alcuni infortuni, ma in passato più di una volta è sta­ta campionessa italiana di chilometro verticale».
L’obiettivo da raggiungere entro la fine dell’anno?
«Dimostrare a me stesso che posso es­sere competitivo anche in gare im­por­tanti. Dopo la vittoria dell’anno scorso in una corsa minore voglio fare uno pas­so in più. Penso di poter diventare un buon lavoratore, nei prossimi anni spero di entrare a far parte di una grande squadra (da dilettante ha effettuato uno stage con la Trek Segafredo, ndr) e di affiancare un campione im­portante. Una cosa è certa: non smetterò mai di andare in fuga».
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