Certo ci sarà più rumore quando si ritirerà a vita privata Vincenzo Nibali. Ma mi pare il caso di non lasciar filare via sotto silenzio l’ultima stagione di altri corridori, sicuramente meno quotati e meno celebri di Nibali, eppure non meno preziosi per il gruppo che lasciano. Parlo dei Quinziato e dei Tiralongo, in rigoroso ordine alfabetico, tipi molto differenti per molti motivi, ma nella mia considerazione ugualmente ai vertici, per qualità umana e per importanza professionale.
Sulle persone non credo nessuno abbia molto da ridire. Tutti e due possono risultare più o meno simpatici, non c’è come dirlo, ma sia Manuel sia Paolo sono davvero persone serie. Di quei tipi che sanno anche ridere, ma che affrontano la vita e quindi anche la professione con massimo impegno e massimo rispetto. Sono profondi, tutti e due: Quinziato più colto, perché ha coltivato studi e letture come seconda (ma io conoscendolo direi prima) passione, invece Paolo più istintivo e panesalame, come si dice cresciuto all’università della strada, ma ugualmente ricco nell’animo e nelle idee. Mancheranno tantissimo, al gruppo: non si sono mai imposti come sceriffi o come bulli del circolino, come vecchie da caserma o pedanti zitelle, ma sono sempre riusciti ad esserci nel modo più positivo, distribuendo fuori dall’ambiente un’immagine signorile, sportiva, discreta, però rispettabile e autorevole. Hanno detto le parole giuste nei momenti giusti, ne hanno detta una in meno piuttosto che dirne una di troppo, hanno espresso opinioni come sempre opinabili, ma argomentando, senza scadere mai nella palude della volgarità e del becerismo. Averne, di nuovi Quinziato e di nuovi Tiralongo, là nella pancia del gruppo, ai raduni di partenza, nel caos degli arrivi (anche se qui, ultimamente, si presentavano un po’ tardino, appena prima dei transennisti). Soprattutto, averne sui palchi della tv, per esprimere pareri da corridore, senza concessioni al tronismo e al cabaret del momento.
Ma le persone Quinziato e Tiralongo, per fortuna, non spariscono, non finiscono qui. Le ritroveremo in qualche altro modo, in qualche altro ruolo. Le ritroveranno soprattutto le loro famiglie e i loro amici. Il vuoto vero, incolmabile, resterà invece a livello tecnico. Con Quinziato e Tiralongo, spariscono dalla circolazione altri due esemplari molto rari di una specie in via d’estinzione, la specie antichissima dei fedelissimi, degli altruisti, dei registi in corsa, dei consiglieri e qualche volta dei maggiordomi, di quei corridori cioè che un campione cerca sempre come l’aria, il compagno dei momenti migliori e il confessore dei momenti cupi, il collega amico che sa essere padre, zio, fratello e persino moglie (in senso buono).
Sono sempre meno, sono sempre più introvabili. E non a caso sempre più ricercati. La storia del ciclismo ne ha sempre segnalati, con tutti i giusti riconoscimenti. Restando alle epoche più vicine, tutti ricordano il ruolo fondamentale e insostituibile dei Cassani e dei Ghirotto. Venendo avanti, ricordo l’ultimo Zanini, i Tosatto e i Bruseghin, i Mori e i Vanotti. Anche Scarponi, certo, che sapeva vestire benissimo quei panni, ma con ben altri talenti, quindi fuori classifica.
L’importanza decisiva di questi uomini si apprezza forse ancora di più quando in una squadra mancano. O appunto quando smettono. Mancano a colazione, mancano a cena, mancano sul pullman, mancano al massaggio. Mancano soprattutto in ritiro, con la loro capacità da Vecchia Romagna di creare un’atmosfera. L’epoca dei punti ha contribuito pesantemente a demolire questa figura e questo ruolo. E come potrebbe non essere così: questi corridori nascono per spendersi, per non pensare mai a se stessi, per non fare mai il minimo calcolo personale, eccoli invece finire nel tritacarne del piccolo conteggio della serva, un tredicesimo posto mi aiuta a fare punti, risparmiamo la gamba, vediamo di non impazzire per questo pirla di capitano, che magari a fine anno è proprio il primo a dimenticarsi di me, che alza il telefono per dirmi ipocritamente io ti terrei ma la squadra dice che ha bisogno di punti, chi sono io, un ente assistenziale che si consuma per gli altri e poi resta a spasso?
La logica aberrante e perversa del nuovo ciclismo porta ad estremizzare l’egoismo. I Quinziato e i Tiralongo fanno sempre più fatica a capire e a starci. Viene da dire che in fondo se ne vanno al momento giusto. Prima che il loro mondo frani definitivamente. Auguro ai due amici tanta serenità, auguro di trovare subito una nuova bicicletta che li faccia ugualmente correre con passione e divertimento, fosse anche a piedi e dietro a una scrivania. C’è sempre da pedalare, quando c’è la voglia. Al gruppo che li saluta dico solo che un pezzo alla volta sta perdendo la sua anima migliore. Diventerà sempre più un gruppo di supermuscoli, ma rischia di lasciarsi indietro qualche ottimo cervello. E comunque attenzione: quando si comincia a correre per un tredicesimo posto, è l’inizio della fine.
P.S.: volutamente non ho mai usato il termine gregario per Quinziato e Tiralongo. Rispetto troppo loro, rispetto troppo la grande figura del gregario, per usarla ancora di questi tempi.
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