Gatti & Misfatti
Ciclismo fluido

di Cristiano Gatti

In questo classico mese delle classiche viene na­turale rimettere a posto un paio di cose basilari, alcuni principi costituzionali del ciclismo, per lunghi mesi av­volti nei fumi e nelle nebbie delle non meglio precisate ri­forme epocali. Una su tutte, almeno, l’articolo numero uno di tutte le riforme, vere, presunte, ipotetiche: anche perché, se non ci pensano i ca­lendari e le valutazioni, ci pen­serà sempre la nostra passione a distinguere bene le cor­se vere dalle corse artificiali, inventate sui due piedi per allargare il mercato e aumentare gli incassi.

Onde evitare che qualcuno mescoli troppo le carte, risulta necessario stabilire che niente e nessuno finora è riuscito a scalfire, nemmeno con tutti gli sforzi, quelle che tutti conoscono come Corse Monu­men­to. Hai voglia di modernizzare e di mondializzare, ma più modernizzi e più mondializzi, più ci accorgiamo che i capolavori classici della nostra galleria au­mentano di valore e di fascino. Nonché di autentica ammirazione popolare. Come una filastrocca, potremmo ri­peterle tutti in coro, senza pos­sibilità di errori: Sanremo, Fiandre, Rou­baix, Liegi, Lom­bardia.

Su queste cinque non ci piove. E non si discute. Sono la forza e la ricchezza, assieme a Giro e Tour, assieme al Mondiale, per parlare di cose serie e di campioni veri. Il resto è a discendere. An­che da inventare, certo: ma senza il trucco da imbonitori di equiparare subito il nuovo a quelle Griffe della storia. E non solo della storia, però: ci tengo a precisarlo otto volte. Queste cinque non sono patetici revival di ricordi passati, co­me raduni di reduci da El Ala­mein, secondo quanto raccontano certi seppiati dentro con la testa sempre rivolta all’indietro: queste cinque so­no e re­stano anche le più bel­le e le più spettacolari, ciascuna con il suo specifico motivo tecnico, co­mun­que a pieno ti­tolo le mi­gliori ancora oggi. La loro storia e il loro prestigio arrivano soltanto a ruota, di conseguenza. Prima, c’è so­stanza.

Qualche parola, se mai, andrebbe aggiunta su altre occasioni che ef­fettivamente si portano dietro storia e originalità tecnica nien­te male. Il discorso torna sempre fuori quando si parla di supercircuito, di superclassifica, di supercampionato aperto ai migliori, in cui davvero tutti siano obbligati a confrontarsi e in cui sia possibile stilare una classifica - con premio - finale, nella certezza che il primo sia davvero un pri­mo, al di sopra di ogni ra­gionevole dubbio. Da questo punto di vista, assieme alle cinque Signore potremmo piazzare un’altra cinquina di gare ugualmente favolose, per fare la cifra tonda di dieci di­stribuita dentro l’intera stagione. Ci metterei subito la Frec­cia Vallone, ci metterei or­mai anche l’Amstel, ci metterei persino la Gand-We­vel­gem, anche per non lasciare ai campioni veloci solo la San­remo. Una, una sola, la an­drei a pescare negli altri continenti, magari in America, ma­gari in Au­stra­lia, cioè nel nuovo mondo del ciclismo ormai diventato an­ch’esso piccolo mondo antico. Ne manca solo una, per fare dieci: il mio posto, senza se e senza ma, sen­za nemmeno un minuto di discussione, va di getto alle Strade Bianche, delle corse neonate quella diventata grande e grossa neanche l’avessero allevata ad estrogeni. Del nuovo che avanza, di questo calendario sempre più esotico e strano, casualmente la novità più bella è ancora qui da noi, nel cuore dell’Italia più verde e più bella, con sollecitazioni tecniche - lo sterrato - che vanno a completare il quadro delle op­zioni agonistiche, accanto all’asfalto, al pa­vee belga, al pavee maxi della Roubaix, alle salite, alle di­scese, agli sprint.
Dall’indirizzo preso ai vertici del ciclismo, non ho la minima speranza che un giorno si arrivi al grande campionato delle dieci corse più vere. Vedo che cercano di appiattire e annacquare tutto quanto, per non di­stinguere più l’oro dalla fa­rina gial­la. Eppure un modo resterebbe anche a loro, ai piallatori della qualità e del valore: basterebbe giocare al­meno sui punteggi, assegnandone di gi­ganteschi in queste prove e di minuscoli nelle al­tre, così da creare nei fatti la classifica vera che non vogliono creare per regolamento. I pezzi grossi si concentrerebbero sulle prove più pesanti, i pesci piccoli cercherebbero le briciole in Po­lo­nia e in Ma­lesia. Può darsi che le grandi riforme spadellate di questi tempi siano una sciccheria. Mai escluderlo. Sono pronto a ricredermi. Ma finchè un se­condo posto al Fiandre o al Lom­bardia non varrà tre o quattro vittorie negli Emirati Ara­bi o in Argentina, ho i miei dubbi che andremo verso il me­glio. Cre­do piuttosto che an­dre­mo verso il piatto, l’anonimo, l’insipido. In quello che di questi tem­pi, come la società, dovremmo chiamare ciclismo fluido.
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