Quando penso al Giro che va via, penso sempre al Giro che verrà. E come a un Capodanno, senza scaramanzia. Quando penso al Giro che va via, certo, dall’angolo di mondo che abitiamo - anche metaforicamente, anche idealmente, certo, non solo geografico -, ci ripetiamo fino alla noia le emozioni che abbiamo provato casa nostra. Quella musicale “Casa mia”, diritto d’autore alla Equipe 84 - che è la Campania.
E San Giorgio del Sannio, più il traguardo che la partenza, emotivamente, ma Benevento ha parimenti meritato, è stato un sogno rosa. E credeteci, noi del “sogno”, come termine su pagina abusiamo poco, da frequentatori maturi del ciclismo.
(Ogni tappa, non sarà mai, come per chi titola di calcio ad un derby o a un qualsiasi incontro di Europa League, la “partita della vita”...,che vita modesta, boys, ci verrebbe da chiosare). San Giorgio del Sannio, davvero, nel segno di Paolo Serino che lo ha disegnato, è stato un arrivo del cuore. In leggera salita, come ogni batticuore che si rispetti.
E da San Giorgio del Sannio, ci viene dunque da pensare al Giro che verrà, l’anno prossimo, in Campania, eponimo del Sud. E se verrà, e dove verrà, ancor più. Di cuore noi scriviamo, senza il ritmo obbligato di un pacemaker, con le sue sincopi naturali, e non di istituzioni deputate. E certo, senza inciso, ci ha turbato cogliere ancora, dalle dichiarazioni e dagli spunti degli addetti ai lavori dell’Organizzazione, quanta inadempienza contrattuale avrebbe caratterizzato le ultime sortite del Giro in Campania. Si è parlato, se abbiamo bene inteso, di mancato rispetto dei doveri da parte di Napoli, di Ischia, quantomeno. E se l’assioma morale è categorico - “chi non onora il contratto del passato non può richiederne uno per il futuro” -, ci farebbe piacere che tanta scorrettezza amministrativa fosse denunciata pubblicamente. Coram populo, come si diceva una volta. Perché la gente, chi sta dall’altra parte del format o del video, deve sapere. Che i debiti, e qui non si tratta di debiti di gioco, vanno pagati. Da chi sui contribuenti come noi trae moneta, in fondo. Nel 2015, e non oltre.
Ma se il prezzo del cuore è l’unico che ci appartiene, noi che paradisi segreti non ne abbiamo, non ci costa niente proporre a Mauro Vegni e agli amici della RCS una sede di tappa per il Giro che verrà. Chiediamo loro di chiamare a sè una cittadina dell’Alto Casertano, che è Roccamonfina. Perduta, o ritrovata, nei castagni, in media collina, sotto il Vulcano che ne porta il nome. Panorama mozzafiato. Glielo chiediamo per una ragione di ciclismo morale, remoto, romantico.
Èscomparso, lì, prima del Giro, una gran bella figura di medico di paese, ad oltre 90 anni, Andrea Maccarone. Reduce dai campi si sterminio di Dachau, un medico, il dottore Andrea, che per 50 anni ed oltre di una comunità intera sarebbe stato non solo il Medico, ma una sorta di gentile Sacerdote, un Nume tutelare. Bene, il dottore Maccarone fu fino all’ultimo il testimone di una vita in bicicletta. “Le visite preferisco ancora andarle a fare in bicicletta”. Quando non esistevano le auto, e quando poi le auto sarebbero arrivate. “Con la bicicletta, credimi, si arriva più vicino al malato”.
Già, perché la bicicletta fa arrivare - al Sud forse di più, o meglio a quel Sud dai doveri onorati prima ancora dei diritti, e non contrabbandati, che preferiamo noi - ancora più vicini a Dio. Anche se non obbligatoriamente ad un arrivo del Giro.
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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