Il memorabile Tour di Nibali, cos’altro aggiungere? Ce l’ho io una cosa da aggiungere. Breve, brevissima, non voglio aggiungere fiumi di parole ai fiumi già spesi. Però mi sembra doveroso puntualizzare.
Voglio semplicemente mettere nero su bianco uno storico passaggio di consegne, dal Giro al Tour: la corsa più dura del mondo non è più la nostra, è quella francese. Non credo nessuno possa eccepire, è un dato di fatto. Il 2014 segna il clamoroso cambiamento. Il Giro decide di rinnegare il suo (felicissimo) slogan, “La corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo”, proponendo un tracciato facile e pallosissimo nelle prime due settimane, quindi concentrando il difficile in due o tre tappe finali. Praticamente è l’imitazione, secondo me puerile e dozzinale, del format Tour, più volte criticato e più volte messo alla berlina confrontandolo proprio con la tradizione del Giro. «I campioni non vengono se continuiamo a fare percorsi massacranti», spiegano gli organizzatori rosa. E pazienza se anche con il percorso light i campioni continuano a non venire: non fosse per Aru, una briscola pescata all’ultimo momento, sarebbe il Giro più desolante della storia. O quasi.
Contemporaneamente, la svolta del Tour. Mentre il Giro decide di imitare il Tour, il Tour decide di imitare il Giro. Ecco improvvisamente sugli schermi il percorso più arduo e più selettivo degli ultimi anni. Mentre noi togliamo le strade bianche nella prima settimana, perché magari i corridori scivolano e si sbucciano il ginocchio, i francesi ci piazzano una Parigi-Roubaix. E casualmente lì Nibali fa bingo. E poi i Vosgi, e poi le Alpi e poi una terrificante tre-giorni sui Pirenei. Alla faccia dei Tour noiosi, piallati, decisi a cronometro della tradizione e del format collaudato.
Lo dico con molta tristezza: questa inversione di filosofie mi addolora. Ho sempre pensato che il senso nobile, la ragione d’essere, la speranza di sopravvivenza del Giro fosse proprio in quella sua cruda originalità, così ben riassunta nello slogan del marketing, “La corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo”. Ero sicuro tra l’altro che anche i campioni assenti, in qualche modo, pagassero in termini di prestigio e di completezza la loro assenza: chi non vince il Giro, era bello dire, non è un campione vero e totale. Gli manca la prova estrema, la prova della sopravvivenza. La prova per uomini veri.
Ridotto così, a una flebile imitazione del vecchio Tour, il Giro perde tutto il suo appeal. Diventa anonimo e fiacco. Diventa inutile. Soprattutto se nel frattempo è il Tour a colmare quel vuoto, diventando in un colpo solo La Corsa, la più di tutto, la più importante, la più famosa, la più ricca e ora anche la più feroce. È con molta mestizia che noi italiani dobbiamo alzare le mani e arrenderci. Addio slogan felice di una bellissima epopea. La corsa più dura del mondo non è più qui. È in Francia. Quanto al Paese più bello del mondo, non è che la Francia sia poi così male.
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