Ci mancherà, nel ciclismo 2014, Luca Mazzanti. Ci mancherà, lui che compirà 40 anni il 4 febbraio, quel ciclista ragazzo sempre uomo che cominciava, sin dall’esordio da stagista con la Ceramiche Refin, nel ’96, con l’obiettivo irrinunciabile, una sorta di etica senza bisogno di maglia, di iniziare ogni corsa nella finalità esemplare del portarla a termine. Indipendentemente dal risultato o dal risvolto agonistico, arrivare in fondo alla corsa, come fosse ogni volta il proprio fioretto quotidiano. Troppo facile, o no?, ritirarsi.
Ci mancherà, Luca Mazzanti, uno che ha corso con Pantani, Basso, Pozzato, da gregario o da luogotenente, e che di Giri d’Italia, ad esempio, ne ha iniziati 13, portandone a termine 12, con l’eccezione di quello del 2003, per un problema fisico non dominabile.
Ci mancherà, per un novero di motivi ben raccontati da Angelo Costa, qualche giorno fa. E per qualche sfumatura (personale) in più.
Ci mancheranno, parzialmente, le sue vittorie - 10, in totale -, con il Gran Premio di Fourmies, una semiclassica, nel ’98, da vertice. E la curiosità di una frazione della Ster Elektrotoer, 2001, in Olanda. E sul traguardo di Valkenburg, dove, di norma, gli italiani ciclisti, se professionisti, e in specie ai Mondiali, non vincono molto facilmente.
E di più la capacità di leggere tanto con ironia una sua vittoria a tavolino, quella a Frosinone, Giro d’Italia 2005, per la squalifica a tavolino di Paolo Bettini che aveva ostacolato in volata Baden Cooke, quanto con saggezza una sua sconfitta bruciante. Come il secondo posto al Giro dell’Appennino ultimo, in uno sprint serrato a due con il neofita Davide Mucelli, di dodici anni più giovane. «Peccato, non congedarsi, con il successo in una classica...». Già, quel garbo inusuale anche nel rivolgersi al Giro dell’ Appennino, di Pontedecimo, come ad un monumento, è il segno prezioso di un raro - al nostro tempo - rispetto per il passato. E per le radici di uno sport.
Ci mancherà, unico nel plotone conosciuto, quel suo riguardo per i capitani. Da Pozzato nella Tinkoff, tornando indietro, a Basso nella Fassa Bortolo.
Perfino a Marco Pantani, con il quale corse un solo anno, nella MercatoneUno, il 2002. «Ma Pantani era uno che anche a correrci insieme una sola stagione, ti avrebbe lasciato tanto dentro...».
Ci mancherà il coraggio di rivolgersi ai colleghi scivolati in vicende doping: «a tutti darei un’altra chance, penso a Piepoli, che mi resta amico speciale, ma quelli che ci ricascano due, tre volte, no, quelli, quelli che pensano di essere sempre i più furbi del reame, quelli no, metaforicamente, andrebbero fucilati...».
E ci manca, ancor più, quel suo rapporto intenso con il Sud. Lui, bolognese per nascita, ma partenopeo di linea materna. Lui ed Afragola, periferia profonda di Napoli, «non c’è più nonna Carmela, ma lì da mia zia, con mia madre, è il mio mondo. Ci sono tornato per l’ultimo dell’anno, l’Anno Nuovo è meglio cominciarlo al Sud..., anche stavolta...».
E quel suo vicino di paese, Giuliano Figueras, Luca da Afragola, l’altro di Arzano, compagno nella Panaria, con cui si è perso di vista, ma che gli farebbe piacere ritrovare. «Spero solo di non rivederlo ingrassato, come tutti i nostri colleghi che hanno smesso troppo presto di pedalare...».
E ci manca - o chissà, lo ritroveremo - quel suo modo di guardare l’estate. «Sai, oggi che non avrò più impegni agonistici, d'’estate potrò godermi la casa al mare, dalle parti tue, a Baia Felice, litorale aurunco, provincia di Caserta, belle zone per farci cicloturismo, quelle...».
E forse così, hai visto mai, lo saluteremo un’altra volta, in bici amica, fra Baia Domizia e Sessa, fra il Garigliano e Roccamonfina, Luca Mazzanti.
Lui ad insegnarci la seconda volta nella vita, noi che l’abbiamo lasciata in questo sfigato 2013, ad andare in bicicletta. Prudentemente. Con giudizio.
Lui, Luca Mazzanti, quel ciclista signore, da 10 vittorie. Anzi no, per una e tante ragioni maggiori, quel ciclista da 10 e lode.
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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