Scripta manent
Saponetti, Napoli e il Giro...

di Gian Paolo Porreca

Sarà certamente un giro, ed un ciclismo, diverso, quello che tra un mese, il 4 maggio, ed è giusto cominciare a prepararci già per tem­po, partirà da Napoli. Tanto differente, tenute di seta rutilanti bici specialissime cambi fruscianti, dal ciclismo di Car­mi­ne Saponetti, il ragazzo di Vigne di Sessa Aurunca che resta negli annali l’unico ciclista campano, non solo casertano, ad aver vinto una frazione del Giro d’Italia: anzi due, in una sola edizione, quella del ’39...

Nato nel giugno 1913, nella più remota asperità delle To­raglie, a Vigne, lì dove il mon­do si può incantare per sempre o ripartire in sella ad una bici, Carmine Saponetti, trasferitosi con la famiglia presto a Roma, dove morì nel 2000, fu un ottimo passista, come ben rammentano Giampiero Petrucci e Carlo Delfino, storici del ciclismo eroico, e “grande portacolori del ciclismo centro-meridionale nel lustro intorno al 1940”. Con una performance strepitosa, ancora dilettante, quando stabilì al Vigorelli di Milano il record mondiale dell’ora della categoria: 43,802, 1936....Il nostro Saponetti, a spulciare gli almanacchi della grande epopea romantica del ciclismo, fra Archambaud e Cop­pi, quando le maglie erano di lana ed il cielo sulle tribune sempre un bianco e nero.
Dalla pista alla strada, per Sa­ponetti, fu una scommessa co­raggiosa.

E nel 1939, passato professionista, il ragazzo di Vigne trovò spazio, lui che non era ancora accasato, con sole quaranta lire in tasca, al Giro d’Italia: numero 67, nel gruppo La Voce di Mantova, senza distinguo leghisti, certo.
Quello che non era il ciclismo di oggi, ma sempre due ruote e lo stesso cuore al comando, avrebbe salutato il primo successo allo sprint del ciclista aurunco nella quarta tappa, a Grosseto, su Moro ed il grande Cottur: “la maglia azzurra de La Voce di Mantova, 1 maggio.
E quel trionfo che sarebbe già così rimasto memorabile avrebbe conosciuto però un incredibile risvolto da lessico familiare, due giorni dopo.
Quando, nel riposo a Roma, una timida popolana - raccontano le cronache - si presentò all’ingresso del grande albergo dove erano ospitati i corridori e chiese a Ghelfi, il direttore sportivo della “Frejus”, di consegnare “per piacere” un biglietto da cento lire al ciclista Saponetti Carmine, «sapete, sono la mamma, e non vorrei che restasse senza soldi, il Giro è lungo, dicono...».
«Ma, signora cara, entri, entri pure. I soldi glieli porti lei a suo figlio. Valgono più cento lire offerte da una madre, che mille portate da uno sconosciuto...», le rispose il buon Ghelfi ed accompagnò la don­na, vestita con la dignità di una contadina, dal figlio Car­mine, con le lacrime agli oc­chi. «Mamma, ti prometto che vincerò ancora».

E l’indomani, credeteci o no alle favole e alle promesse degli uomini, Carmine Sapo­net­ti vinse, a Rieti, battendo fra l’altro l’idolo locale Leoni, la sua seconda tappa del Giro 1939. Non avrebbe vinto oltre nella vita, un paio di altri tentativi in pista, e la guerra successiva ne avrebbe tarpato il destino sportivo.
Ma il ciclismo dei nostri ricordi e dei vostri domani, in attesa del nuovo, lo ringrazia. Per quel record che gli spetta, da unico vincitore campano ed aurunco, nell’archivio di 85 anni di Giro d’Italia. E per la lezione sentimentale che commuove, credeteci o no, in un mondo blasfemo anche nello sport, di quel giuramento mantenuto. Nel nome della ma­dre.

Preparandoci, con un mese di anticipo, a quel giro che partirà da Napoli e ci au­guriamo sia il meno remoto possibile dai valori e dalla tenerezza del giro di Sapo­netti.

Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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